Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

il sito web della comunità parrocchiale San Giuseppe di Dalmine

Ultimi articoli pubblicati

Due anime nella stessa Chiesa

Vedendo la grandezza dei monasteri benedettini e la piccolezza di Lisieux ho pensato che la grazia di Dio è come l’acqua che fa crescere frutti diversi. La presenza massiccia dei monaci che oltrepassa i secoli e la via dell’infanzia che fa scomparire Teresa. La centralità dei giganti santi e il cuore missionario della ragazza del Carmelo. La Grazia è la stessa ma i frutti sono diversi.

La Chiesa è proprio bella perché l’unità e la diversità stanno insieme in armoniosa sintesi.

Nell’ellisse del viaggio europeo, pensato da Rumiz e replicato da noi, dilettanti, in visita ai monasteri, dall’ Abbazia di Wandrille, abbiamo scelto di fare una deviazione a Lisieux.

La Santa del primo ottobre chiama ad un incontro con l’anima femminile e innocente della chiesa. Se nei monasteri incontriamo uomini, a volte rudi e senza fronzoli, a Lisieux incontriamo una donna sorridente, tenera e silenziosa. La sua grande lezione si raccoglie intorno a tre aspetti. L’esperienza personale dell’amore de Signore, fare straordinariamente bene le cose ordinarie e spargere nel mondo il buon profumo di Cristo, anche se si vive raccolti nella cella di un convento.

In obbedienza a Benedetto i monaci si occupano di preghiera e di lavoro dando una testimonianza concreta di una vita bella, buona e felice. Teresa come una bambina su nasconde, gioca con Dio e inventa una santità “normale”. In ogni monastero quando muore una sorella la superiora di impegna a riassumere in una paginetta la vita della congiunta. Accadde che una sua consorella una volta si lasciò scappare questa domanda: Cosa dirà la superiora al funerale di Teresa? Per dire che nella sua vita pareva non esserci proprio nulla di significante.

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Il genio umano e spirituale di Blaise Pascal

In questi giorni sto spiluccando un libro di Pascal, l’illustre matematico e scienziato, il fine pensatore, filosofo e teologo vissuto in Francia (1623 – 1662), autore di un volume intitolato “Pensieri”, pubblicato dopo la sua morte, una raccolta di riflessioni, mille domande esistenziali e altrettanti tentativi di trovare risposte. Pascal rimase orfano di madre quando aveva appena tre anni e suo padre decise di occuparsi personalmente dell’educazione dei suoi tre figli. Quando era adolescente Pascal costruì la sua prima “macchina calcolatrice”.

Quando aveva trent’anni fu coinvolto in un incidente: i cavalli che trainavano la sua carrozza finirono oltre il parapetto di un ponte. Da quel tragico incidente pascal prese la netta decisione di abbandonare la scienza e la matematica per dedicare tutte le sue energie alla teologia.

Pascal muore giovane, a soli 39 anni, a causa di una malattia che lo ha perseguitato fin da bambino. Trascorre gli ultimi anni della sua vita come un asceta, trascorrendo le sue giornate a meditare, a pregare e a scrivere.

Condivido alcune frasi di Pascal tratte da “Pensieri”, frasi divenute celebri per la loro profondità spirituale.

 Tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera. Che fatica per l’uomo, soprattutto nel nostro tempo, a raccogliersi, a rientrare in se stessi a fare l’esame di coscienza, a vivere minuti di silenzio nella propria stanza senza guardare i dispositivi da cui sempre più dipendiamo. Se tutta la nostra infelicità dipende dal non riuscire a vivere questo raccoglimento, potremmo dire che la nostra felicità dipende dal saper fare … l’esame di coscienza.  

 Dio non costringe nessuno a credere. Infatti c’è luce sufficiente per chi vuol credere; ma c’è buio sufficiente per chi non vuol credere. La libertà è il dono più grande che Dio ci ha fatto. Ma è anche una grande responsabilità. Liberi di scegliere se credere o no, liberi di scegliere tra la luce e i buio. Continua la lettura →



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Il cielo sopra Lisbona

Rubo questo titolo al giornale Avvenire che in occasione della Giornata Mondiale dei Giovani ha pensato ad una puntata radiofonica quotidiana per raccontare ciò che avveniva a Lisbona intervistando giovani e testimoni diversi sul senso di questo raduno straordinario.

Il cielo sopra Lisbona è stato pieno di colori, bandiere, nuvole, ma soprattutto di sogni.

Raccolgo in alcune immagini l’intensità di queste giornate vissute sotto il cielo di Lisbona.

Giovani convocati.

La GMG nasce dalla precisa volontà della chiesa di chiamare i giovani, di farli stare insieme, di creare le condizioni per aiutarli ad esprimere la fede sdoganandola dalla forma privatistica in cui spesso si rinchiude.

Quando i giovani vengono chiamati rispondono. Chiaramente l’esito futuro è proporzionato a quanto ciascuno è stato disposto a mettersi in gioco, ad ascoltare e a lasciarsi provocare.

Più giovane dei giovani.

Con queste parole il Cardinale di Lisbona ha accolto è definito Papa Francesco. Con molta ironia il Papa stesso scuote i giovani affinché non vivano da pensionati abbarbicandosi al divano. La caratteristica principale della giovinezza non è il dato anagrafico ma la consistenza dei sogni. Per questo Francesco è più giovane dei giovani anche se cammina con fatica ed è curvato dagli anni.

Un milione e mezzo in assoluto silenzio.

Tra le cose che ai giovani è piaciuta di più anche se è stata stancante, è stata la Veglia di Sabato sera. Dopo le parole del Papa è stata introdotta l’Eucarestia e per l’adorazione e istantaneamente tutti si sono composti in un silenzio assordante. Molti dicono che è difficile che la fede nasca in una GMG ma quei minuti di silenzio sono stati davvero promettenti come un seme.

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200

Mila euro. Tanti sono i soldi che abbiamo raccolto, fin ora, per il restauro della Chiesa parrocchiale.

Condivido alcune considerazioni per sottolineare l’importanza di questo traguardo.

Innanzitutto la durata della raccolta, iniziata a Giugno dello scorso anno. In poco più di un anno abbiamo raggiunto un grande obiettivo.

Questo è segno di un concorso rapido che ha spinto molte persone a sentirsi partecipi dello stesso progetto.

In secondo luogo è da sottolineare la tipologia delle offerte liberali. Sono pressoché tutte elargite da fedeli privati, nel senso che non c’è stata l’offertona di uno, ma piccole offerte di molti. Piccole per modo di dire: c’è chi ha offerto 100 euro e chi ne ha offerto mille, due, tre, dieci mila. Anche questo a mio parere è un aspetto rassicurante perché è sintomo di corresponsabilità: alla chiesa ci teniamo tutti, per una questione di sicurezza e di ripristino estetico. La chiesa i cristiani di san Giuseppe la sentono come la loro casa, una casa donata nella quale ritrovarsi per celebrare il loro Signore.

Un terzo aspetto è la sintesi tra i complimenti e la gratitudine. So bene che non è per questo che i fedeli di Dalmine si muovono. Tuttavia penso che ogni tanto sentirsi dire “Bravi!” faccia bene anche alla comunità.

Un ultimo aspetto riguarda le prossime azioni future. Stiamo raccogliendo i preventivi per approntare l’intervento all’interno della Chiesa, intervento relativo all’impianto elettrico, alla tinteggiatura, al restauro degli affreschi soprattutto quelli ammalorati e a eventuali altre opere, intervento che abbiamo intenzione di realizzare nei prossimi mesi.

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Prenderci cura della nostra terra

In un campo estivo con gli adolescenti succedono sempre tante cose. Con 50 ragazzi siamo stati una settimana a Cupra Marittima, vicino a San Benedetto del Tronto. Il tema della settimana é stato lo stesso del CRE nel quale gli adolescenti si sono prodigati come animatori: la cura.

In particolare c’è stato un giorno nel quale per approfondire il tema della cura per il creato abbiamo vissuto una visita alla città  di L’Aquila una terra ferita per il terremoto. In particolare abbiamo incontrato un giovane sacerdote, don Federico, che ha condiviso con noi un’appassionata testimonianza. Ai ragazzi è piaciuto il racconto personale del ricordo del terremoto del 2009.

A cambiare la vita delle persone non sono i fatti ma le scelte. Questo in sintesi il suo pensiero. Le cose che accadono possono incutere paura, deprimere, togliere la speranza. Sono invece le scelte che si possono compiere che responsabilizzano e permettono di dare un senso a tutto ciò che accade.

Altro aspetto della testimonianza è che, anche se non ci pensiamo, nel giro di alcuni minuti tutto può cambiare.

Nel terremoto questo abbiamo sperimentato, dice don Federico, la vita ha i giorni contati e non si può perdere tempo.

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300

Da Domenica 1° Ottobre 2017 ininterrottamente il Foglio della Settimana presenta un rubrica nella quarta pagina. Con quello di questa settimana sono giunto al numero di 300 pensieri per la domenica. Un impegno divertente per me e, spero, un appuntamento gradevole per chi legge.

Un percorso iniziato quasi sei anni fa per mantenere un filo di contatto con la comunità su un ventaglio disparato di temi. Un percorso di leggerezza, senza nessuna pretesa. Passo passo mi sono reso conto che molti leggevano i testi e mi mandavano spesso un segno o di apprezzamento o di critica.

La cosa importante, mi dico, è che serva a qualcuno e a qualcosa. A me serve tantissimo perché generalmente scrivo ciò che medito a partire da quello che accade o che capita di leggere, vedere, contemplare. È un piccolo dono settimanale che mi piace condividere con chiunque lo voglia.

D’altronde per un prete non è difficile trovare spunti per scrivere riflessioni. La vita del prete è multiforme, è sempre provocata da eventi anche tra loro contrastanti; deve condividere la gioia della vita che nasce e il dolore della vita che finisce, l’entusiasmo di chi si ama e il dramma di chi si lascia, la soddisfazione di chi raggiuge i suoi obiettivi e la desolazione di che fallisce, l’abbondanza di coloro ai quali non manca nulla e la precarietà di chi non ha nulla, è a contatto quotidianamente con i ragazzi, i giovani, gli adulti e gli anziani e si misura necessariamente con ogni ambito della vita umana, cristiana e pastorale.

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La GMN e la GMG

Nel giro di poche settimane la chiesa celebra due giornate mondiali: Domenica 23 Luglio la GMN (Giornata Mondiale dei Nonni) e Domenica 6 Agosto la GMG (Giornata Mondiale dei giovani). Due giornate apparentemente agli antipodi eppure mai così vicine.

Leggendo i messaggi del Papa per queste due Giornate colpisce la scelta saggia di meditare lo stesso brano del Vangelo: lo straordinario incontro di Maria con la sua cugina Elisabetta.

Un po’ per la vicinanza di queste due domeniche e un po’ per le categorie coinvolte questa coincidenza mette in evidenza l’intreccio tra le generazioni e la cura reciproca che può diventare fondamentale per tutti.

Papa Francesco nei messaggi di queste due Giornate mondiali si muove proprio a partire dal brano della Visitazione di Maria ad Elisabetta. Titolo del messaggio per la Giornata dei Nonni è “Di generazione in generazione la sua misericordia”, espressione di Maria che nel Magnificat loda il Padre per tutto ciò che opera nella storia. Mentre nella Giornata Mondiale dei Giovani l’espressione sulla quale ci si soffermerà nelle catechesi è: “in fretta” avverbio di modo con il quale si racconta l’atteggiamento della giovane Maria verso l’anziana cugina.

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La prepotente bellezza del girasole

Bisogna essere proprio dei visionari per dipingere un evento rompendone radicalmente tutti i canoni. Infatti avviene che nel 1950 il grande pittore surrealista Salvador Dalì racconta di avere avuto un nitido sogno, un visone cosmica che alcuni anni dopo ispirò il quadro intitolato “L’Ascensione”.

Gesù viene dipinto con una prospettiva completamente diversa rispetto al modello classico dell’Ascensione: appare come sospeso, senza la terra sotto i piedi, piedi che sono in primo piano verso di noi; le braccia a formare, con i piedi un triangolo.

La prospettiva è vertiginosa: Dalì guarda Gesù come lo hanno visto gli apostoli, verticalmente, dal basso all’alto vedendo prima di tutto i piedi di Gesù. Piedi sporchi, forse per alludere ai tanti passi che Egli ha compito in Palestina con i suoi discepoli per portare la Parola del Vangelo.

Il volto di Gesù non è visibile, come spesso accade nei dipinti di Dalì.

Non possono non colpire le mani di Gesù. Innanzitutto non sono presenti i segni dei chiodi, è Risorto e sta per ritornare in cielo definitivamente libero dai segni della passione. Ma quelle mani sono tese, quasi nervose, intenti al compimento di qualche opera. Le mani sono il simbolo iconografico del fare, dell’agire evangelico, della carità. Queste mani ci dicono che Gesù è un gran lavoratore e continuamente agisce.

Oltre il corpo di Gesù sono rappresentati il Padre e lo Spirito Santo. Dio Padre è rappresentato dall’abbraccio luminoso del cerchio giallo, un abbraccio che accoglie il Figlio, inviato dal Padre e che ora al Padre ritorna.  La persona dello Spirito Santo è affidata alla simbologia classica della colomba, posta sopra il corpo di Cristo.

Ma l’elemento estremamente originale e perciò attraente è il globo giallo nel quale Cristo asceso è inserito.

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FOMO o JOMO?

Quando ero ragazzo se si voleva offendere qualcuno gli si poteva dire: sei un tagliato fuori. E si intendeva: non al passo, non sei alla moda, sei lontano dai centri sociali dove accadono le cose che contano.

Essere tagliato fuori è sinonimo di essere isolato. In effetti non esiste, credo, disavventura peggiore per un adolescente che essere isolato e non per propria scelta.

Ma quando ero ragazzo io non c’erano i social.

Oggi scopro che è stata coniata una definizione per rappresentare chi è tagliato fuori: FOMO.

In tempi in cui i social network imperano e si è costantemente in contatto virtuale con tante persone, è sempre più grande il timore di essere tagliati fuori, di non partecipare a qualcosa che gli altri stanno facendo. Questa nuova specie di ansia sociale ha anche un nome: FOMO acronimo dell’inglese fear of missing out, traducibile con “paura di rimanere escluso”.

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Che bello il CRE!

Sono già passate due settimane, anzi sono volate. La compresenza di bambini, adolescenti e adulti è proprio un bel panorama da vedere e da contemplare. Magari non sempre tutto va come ci aspettavamo, tuttavia  è sempre possibile riaggiustare tutto perché quando ci si conosce e si sta insieme si impara a prendersi cura gli uni degli altri.

Proprio quello della cura è il tema che racchiude gli obiettivi educativi del CRE di quest’anno e che dà forma alle diverse proposte.

Ogni giorno del CRE si conclude con un momento di raccoglimento, di riflessione e di preghiera.

Tra canti e preghiere viene ascoltato un brano del Vangelo in cui emerge lo stile di Gesù che si prende cura degli altri. Il Vangelo viene poi fatto risuonare con alcuni racconti. Tra questi racconti ce ne sono due che mi hanno particolarmente colpito. Il primo si intitola “Il bambino e l’abbraccio” e dice: il bambino chiese alla mamma: “Mamma, secondo te, Dio esiste?” “Si!” rispose la mamma. “Com’è?” domandò il bambino. La donna attirò il figlio a sé… Lo abbracciò forte e gli disse: “Dio è così!” – “Ho capito!” esclamò il bambino.

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Ogni cosa alla sua stagione

È stato chiesto a Danièle Hervieu-Léger, una famosa sociologa francese cosa pensa del suo futuro. La sua risposta fu: “Vorrei rispondere sul mio futuro, ormai crepuscolare, riprendendo una parabola indiana che fu cara anche al cardinal Martini e che è un’analisi della biografia umana in quattro tappe sincroniche. Prima di tutto c’è la stagione in cui si impara, e io l’ho vissuta continuamente nello studio; poi c’è il momento in cui s’insegna, il tempo del magistero, nel quale non si smette mai di imparare. Terzo, il periodo del bosco, quando ci si ritira, si sta in silenzio, si riflette. E infine la vecchiaia, in cui si diventa mendicanti, si ha bisogno degli altri: io entro appunto in questo tempo”.

Questa parabola moderna il Cardinal Martini la citava spesso. Ognuno di noi credo possa facilmente distinguere queste quattro fasi della sua vita, fasi che possono essere accompagnate da alcuni sentimenti.

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Alla fine dell’anno scolastico

Due pensieri alla conclusione dell’anno scolastico.

Il primo senz’altro è di gratitudine. Ogni insegnante ed ogni studente, se appena appena è un po’ sensibile, avverte nel cuore la sensazione di aver ricevuto molto, di non essere uguale a quando ha iniziato l’anno scolastico, di avere imparato tante cose e di aver messo a frutto i propri talenti.

Gli alunni debbono esprimere il ringraziamento indistintamente per gli insegnanti “esigenti” sia per quelli “teneri”. Entrambi contribuiscono a crescere con equilibrio. A questo proposito mi è venuto in mente il tema di una bambina che alla maestra che chiedeva di descrivere le mani della madre; così rispose: “Una è rossa, ruvida dura, perché ci fa tante cose. Con quella mi dà gli schiaffi. Con l’altra, che è più bianca e anche un po’ più liscia, mi fa le carezze. Ma alla sera gliele bacio tutte e due”. Il bacio di questa bambina è la gratitudine, sia per il maestro con il bastone sia per quello con la carota.

Ma anche gli insegnanti devono avere nel cuore tanta gratitudine, per tutti gli alunni, non solo per quelli che soddisfano. Anzi le sfide più importanti sono quelle che impongono l’accompagnamento di alunni lazzaroni, limitati, demotivati. Alla fine di un anno conta più un passo in avanti di questi che non dieci di chi è già bravo. Un insegnante lo sa e per questo investe molte delle sue forze in questa sfida.

Il secondo pensiero è un invito alla lettura. Leggere non è soltanto un modo per trascorrere il tempo libero. Sono tantissimi i benefici arrecati dalla lettura: stimola la mente, migliora le conoscenze, aiuta ad esprimersi meglio, migliora la memoria, arricchisce l’attenzione e la concentrazione, sviluppa la fantasia, abilita alla riflessione…

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Ricreazione

All’inizio dei mesi estivi mi è tornata alla mente una statua di san Francesco che si trova ad Assisi presso l’Eremo delle Carceri. Lì c’è il santuario che custodisce la memoria di una consuetudine della vita di san Francesco: la ricerca di un posto tranquillo nel quale ritirarsi per pregare, per staccare, per riposarsi. Il nome “Carceri” non ci deve trarre in inganno, non significa “prigioni”, ma luogo appartato, solitario. In ogni luogo in cui si trovava Francesco sapeva ricavare una piccola chiesa per pregare.

La prima volta che Francesco giunse in questo luogo c’erano solo grotte naturali nel cuore della foresta. Proprio in una di queste grotte Francesco aveva posto il suo nido di preghiera. I suoi biografi raccontano le sue molteplici soste in questo luogo, nella preghiera e nella meditazione. E quando giungeva la sera esausto per la penitenza e i digiuni “stendeva il suo fragile corpo sulla nuda pietra”.

Uscendo dal santuario inizia il “Viale di san Francesco”, una suggestiva passeggiata nel bosco e si trova un bellissimo gruppo statuario realizzato qualche anno fa dallo scultore Francesco Bacci intitolato “Francesco, Leone e Ginepro contemplano il cielo stellato”.

Leone sta tracciando sul terreno il Grande e il Piccolo Carro. Ginepro, nella sua semplicità, guarda il cielo individua la posizione della Stella polare. Francesco è sdraiato a terra, con i piedi scalzi e con le mani dietro la nuca e contempla estasiato la notte splendente.

È un’immagine molto bella che ci ricorda la necessità di vivere ogni tanto momenti di riposo. Francesco ci racconta come lo intendeva lui il riposo, non come l’abbandonarsi all’ozio, non come lo svuotamento di ogni pensiero e di ogni passione. Il riposo come contemplazione del creato.

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La parrocchia non è di tutti, ma è per tutti

Il pellegrinaggio del Vescovo Francesco sta avviandosi alla conclusione. È stato un mese molto intenso, soprattutto per noi sacerdoti. Numerosi sono stati gli incontri e i dialoghi con il nostro Vescovo.

Personalmente mi ha colpito molto la sua umanità, la sua saggezza, la sua capacità di interpretare questo nostro tempo alla luce del Vangelo, la sua passione per la parrocchia e per la famiglia. È ritornato più volte su alcuni aspetti della vita cristiana che avremo modo di riprendere, di fare nostri, di cercare di tradurli in scelte pastorali. Uno di questi temi, riproposto come ritornello tra le strofe, è sicuramente il tema della comunità, della parrocchia. Già nella preghiera del pellegrinaggio, scritta dal Vescovo ritroviamo le sue convinzioni: “Per alcuni la parrocchia è vita di ogni giorno, per altri è rarità, per non pochi è ricordo che s’allontana, per tutti è possibilità… Signore la nostra parrocchia sia fraterna, ospitale e prossima.”

Il Vescovo non poteva che ribadire la scelta fondamentale dei Vescovi Italiani di questi decenni, scelta riassumibile nel criterio: la “parrocchia” è il luogo ordinario dell’evangelizzazione, è il soggetto dell’evangelizzazione, perché senza la Chiesa non c’è evangelizzazione, senza la comunità non c’è trasmissione della fede.

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Pompei: la città morta che vive

Nella gita parrocchiale del mese scorso abbiamo visitato gli scavi di Pompei.

Pompei: la città morta che vive. Così è stata definita l’antica città che venne interamente sepolta da un’eruzione apocalittica nel 79 dopo Cristo. Abbiamo una descrizione di questo evento drammatico in una lettera che Plinio il Giovane scrisse a Tacito.

Nel 1748 iniziarono gli scavi che ancora oggi sono in corso. Scavi che riportano alla luce l’antica città.

L’eruzione è stata paradossalmente provvidenziale, come scrisse Goethe nel 1786 dopo aver visitato Pompei: “Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità. Credo sia difficile vedere qualcosa di più interessante”.

La lava e la cenere sono state per l’antica città una sorta di copertura che ha permesso alla città di mantenere nei secoli la sua integrità, di essere protetta dalle intemperie. Per la terribile disgrazia del 79 noi possiamo conoscere la vita dell’antica città romana, di capire chi erano gli abitanti di Pompei, di sapere come vivevano, come amavano, cosa mangiavano, come si divertivano. Insomma una “disgrazia provvidenziale” per la storia.

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