Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Dieci minuti

Finalmente ho avuto il tempo di guardarlo. Me l’avevano consigliato due amici un po’ in crisi nel loro matrimonio. Dieci minuti. Questo il titolo del film di Maria Sole Tognazzi tratto dal romanzo di Chiara Gamberale. È la storia di Bianca che dopo essere stata abbandonata dal marito tenta di togliersi la vita. La figura di riferimento per Bianca, nel tuo tentativo di redimersi, è la dottoressa Brabati, magistralmente interpretata da Margherita Buy.

Mi è piaciuto il film. Soprattutto per la dottoressa ed i suoi consigli.

C’è una sedia rotta nel suo studio e a tutti i pazienti ricorda che l’obiettivo delle sue terapie consiste proprio nell’acquisire il senso della realtà per cui bisogna imparare a convivere con i propri limiti e difetti. Infatti ciò che viene indicato a Bianca come diagnosi è la sua incapacità ad incontrare le persone reali. Per intraprendere la terapia la dottoressa le propone l’esercizio dei 10 minuti che consiste nel fare ogni giorno, per almeno una decina di minuti, qualcosa che non ha mai fatto, di bello o di brutto, di attraente o di ripugnante. Sarà questo esercizio a portare Bianca ad avvicinarsi agli altri e soprattutto a sua madre con la quale da anni non parlava.

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La “magia” del dodicesimo cammello

Avevo bisogno di trovare un racconto per spiegare ai ragazzi l’importanza del dono e di saper vivere con gratuità la vita quotidiana. Ogni giorno durante il Cre si concludono le attività con un brano di Vangelo, un racconto appunto e un canto.

Ho trovato dunque questo racconto che onestamente mi ha un po’ lasciato senza parole. Più che un racconto è un paradosso e io non sono riuscito a capirlo fino in fondo. Ecco il racconto: un cammelliere sul punto di morte scrive il proprio testamento per lasciare i propri averi ai suoi tre figli. L’eredità è composta da 11 cammelli e nel testamento è indicato che: al figlio maggiore va 1/2 della sua eredità; al figlio di mezzo va 1/4 della sua eredità e al figlio minore va 1/6 della sua eredità.

Chiaramente, essendo 11 un numero dispari, il primo dei tre fratelli presenta subito agli altri un problema: non può prendersi la metà dei cammelli (ovvero 5 cammelli e mezzo) senza ucciderne uno tagliandolo a metà. Ed ecco che iniziano i litigi.

Così i tre fratelli si recano da un giudice che si ferma per un po’ a riflettere sul problema e poi decide di lasciare loro anche il suo cammello. Il giudice dice loro che devono provare a dividere l’eredità aggiungendo il suo cammello al totale (che diventa di 12 cammelli) e che, in caso fosse possibile, gli restituiranno il cammello più avanti.

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Aforismi

D’estate, in viaggio o sotto l’ombrellone, mi diletto con i giochi enigmistici. Mi diverto, mi rilasso e rifletto. I giochi che preferisco sono quelli con la chiave risultante perché si trovano sempre massime sapienti e proverbi curiosi.

Tanto per citare le ultime frasi trovate condivido queste.

Bisogna prendere tutto sul serio ma niente sul tragico.

Prendere sul serio ogni cosa significa essere coscienziosi e responsabili e questo non è il contrario di allegria. Se non si prendono sul serio le cose, anche le più piccole, si finisce per essere superficiali. Nulla però dev’essere tragicamente interpretato, neppure ciò che è tragico di per sé, come la morte, perché la speranza è l’ultima a morire e più forte della morte è l’amore.

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Come sta tua mamma?

Come sta tua mamma?, mi chiede un anziano amico prete al telefono. È un po’ poco lucido perché era stato a fare una preghiera a mia madre. Ero sicuro. Sapeva che mia madre era morta. Eppure alla domanda: Come sta tua mamma? gli rispondo: Bene dai. Ma no, scusa, è morta qualche mese  fa. Ah si è vero, mi dice, e ci salutiamo.

Che telefonata strana. Rimango a pensare non tanto alla sua estemporanea domanda quanto alla mia irrazionale risposta.

Mia mamma sta bene.

Pensavo forse che la sua presenza fosse ancora vicina oppure che la sua attuale sorte davvero fosse nel bene. Fatto sta che dopo alcuni mesi non ho smarrito la certezza della sua vicinanza.

Con i nostri cari non interrompiamo legami annosi d’amore.

Se mai essi si rafforzano benché la forma cambi radicalmente. Non sono più i sensi della concretezza ma dello spirito a governare le dinamiche.

C’è un bellissimo testo, erroneamente attribuito a sant’Agostino, che spesso viene proposto nei funerali per il saluto di congelo ai propri cari, dice: La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

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Il lago di Molveno

Abbiamo vissuto un giorno di grande pace a Molveno. Con la cornice delle Dolomiti del Brenta e la purezza del lago abbiamo trascorso la giornata nel bellissimo parco in riva al lago che Fogazzaro, amante di questo posto, chiamava “preziosa perla in più prezioso scrigno”.

Intanto complimenti vivissimi alla lungimiranza degli amministratori che hanno saputo salvaguardare la bellezza del parco e l’hanno attrezzato senza esagerare con infrastrutture comode per i turisti.

Poi altrettanti complimenti ai turisti stessi per il rispetto con cui si armonizzano con l’ambiente. I turisti di montagna sono decisamente più attenti di quelli delle coste marine.

Mentre dappertutto stavamo vivendo giorni di grande caldo in riva a lago di Molveno si stava veramente bene.

Il lago dal 2011 al 2018 vanta di aver ricevuto per cinque volte il premio “Le cinque vele” da Legambiente per la qualità dell’acqua, della spiaggia e dei servizi turistici e detiene il primato dal 2014 di Lago più bello d’Italia. Così si legge nella nota di Legambiente: “vero avamposto di una rivoluzione lenta che, sul modello di certe località della Sardegna, si è posto l’obiettivo di ripensare le strategie di sviluppo turistico del territorio e contingentare il carico di ospiti, mettendo in atto uno studio per individuare il numero giusto di presenze che assicuri l’equilibrio tra chi vive il paese, chi lo visita e l’ambiente”.

Il lago di Molveno ha una profondità massima di 124 metri ed è il più profondo del Trentino e si trova a circa 800 metri di altezza. A Molveno è possibile praticare molti sport in particolare i percorsi in bike e i voli con il parapendio.

Tra i monumenti rilevanti del paese c’è sicuramente la chiesina di san Vigilio che risale al XIII secolo ed è in stile romanico. All’interno la chiesetta è impreziosita da diverse raffigurazioni: una splenda Ultima Cena, la crocifissione e san Rocco, tutte risalenti al Duecento.

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La ricchezza dell’estate

Ho vissuto un mese lontano da Dalmine: il campo estivo con gli adolescenti a Sestri, una vacanza con i giovani a Limone del Garda, ospiti nella casa di san Daniele Comboni e una decina di giorni negli Sati Uniti nel New Mexico e precisamente nella città di Santa Fe.

Prima di tutto mi vien da dire che dovrò rendere conto al Signore per il buon tempo che ho avuto in questo… tempo buono. In secondo luogo devo affermare che il lusso di poter viaggiare è anche una grandissima opportunità: si imparano molte cose, si entra in contatto con culture e mentalità completamente diverse dalle nostre, si conoscono modi nuovi di risolvere i problemi e di vivere la quotidianità. Se poi si ha la fortuna di condividere l’esperienza del viaggio con qualcuno questo è sicuramente il valore aggiunto di ogni esperienza.

A Sestri ho imparato a mettermi in ascolto degli adolescenti, del loro slancio affettivo e della sofferenza che segna anche la loro giovane vita. A Limone ho imparato dai giovani il buon gusto nell’abitare la natura, la necessità di riposare e la serenità nel condividere anche le piccole cose e dai padri comboniani la bellezza della vita comunitaria con la capacità di trasformare le diversità in ricchezza.

In America ho imparato un’America completamente diversa dall’immagine che abbiamo in testa noi europei, una terra intrisa di storia degli americani nativi, gli indiani, una terra lenta, quasi indolente, la cui energia non è nel caos e nella tecnica, ma nel silenzio e nella calma.

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Come una minigonna

Dopo un breve pensiero di commento al Vangelo, in una messa feriale, dico: ed ora proseguiamo con l’offertorio, rimaniamo pure seduti. Mi porto all’altare e quasi tutta l’assemblea si alza. Un pensiero mi folgora: ma se non mi ascoltano quando dico di restare seduti, che non è difficile, cosa avranno ascoltato dell’omelia?

Ci sono molte cose che potremmo dire sulla predica. Per esempio alcune note, chiare e precise, che già quarant’anni fa il nostro spassoso professore di teologia ci diceva. Ricordatevi, diceva a noi poveri seminaristi sprovveduti, che quando le donne vi diranno che avete predicato bene, in realtà non è per ciò che avete detto, ma per il vostro bell’aspetto … loro, le donne, non vi ascoltano, vi guardano.

Un’altra nota, destinata a diventare famosa, è questa parabola moderna: la predica è come la minigonna, dev’essere corta, aderente alla vita e che lasci intravedere il mistero…

Oppure, sempre del simpatico professore, per fare una buona predica ci vogliono tre cose: una bella introduzione, una bella conclusione e che l’introduzione e la conclusione siano più vicine possibile.

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Le cene con i confratelli

Le cene con i miei confratelli, cioè quelli che sono diventati sacerdoti con me, sono tra le più nutrienti e divertenti. Ci conosciamo da una vita, abbiamo fatto gli anni del seminario insieme e poi da quando siamo preti ci troviamo in diverse occasioni ogni anno.

Proveniamo da tutte le parti della diocesi e svolgiamo servizi diversi all’interno della chiesa.

Siccome non abbiamo famiglia e non parliamo né di mogli, né di figli e tanto meno di suocere… le nostre conversazioni ruotano intorno alle cose di chiesa. Si comincia sempre con qualche ragionamento serio sull’attuale situazione della chiesa, del mondo, dell’evangelizzazione, delle paure sul futuro e delle strategie da adottare.

Dopo qualche bicchiere di buon vino partono i racconti: aneddoti di cose che ci capitano nelle parrocchie, giudizi più o meno benevoli sui nostri superiori, pettegolezzi e battute di vario genere, barzellette…

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Vita spericolata e vita spiricolata

Chi non è innamorato non può capire Dio perché nel suo mondo si accede solo con la follia dell’amore. Esordisce così don Roberto Fiscer uno dei preti più conosciuti nel mondo dei social e che abbiamo avuto la fortuna di incontrare in Liguria con gli adolescenti. Ha una bella da raccontare e l’ha fatto circondato dall’ascolto attento e curioso degli adolescenti. I suoi video sono leggeri ma profondi fanno sorridere e riflettere. I ragazzi lo conoscono dai social e lo aspettano. Ci parla della sua vocazione. Un grande dolore lo colpisce da piccolo per la morte della sua mamma. Impara a convivere col dolore. Si sente fragile e tiene tutti lontano dal suo dolore mascherandolo. Fino a quando impara ad impugnare il coltello della fragilità non dalla parte della lama, facendosi ancora più male, ma dalla parte del manico, scoprendo che la debolezza ed il dolore possono diventare un arma per vincere il male, come diceva San Paolo, quando sono debole è allora che sono forte.

Crescendo si è diviso il tempo tra le sue passioni principali: la musica, la discoteca, le amicizie, il tifo per il Genoa… finché gli giunge tra capo e collo la proposta di animare una festa nell’oratorio del suo quartiere. Parte poi come animatore sulle navi da crociera ma ormai la nostalgia dell’oratorio gli apre una crepa nel cuore. Si butta a capofitto nell’oratorio ed incomincia a lavorare in un negozio di telefonia. Il cambiamento radicale della sua vita avviene a Roma, nel 2000, in occasione della GMG di Tor Vergata. Il Signore gli si manifesta con la vocazione sacerdotale.

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Com’è profondo il mare

Com’è profondo il mare. L’esperienza del campo estivo degli adolescenti parte da questo passaggio della canzone di Lucio Dalla.

Andiamo al mare ed è ovvio che il tema lo suggerisca proprio il mare. Con gli educatori ci siam chiesti: Di cosa hanno bisogno secondo noi i nostri ragazzi? La risposta unanime: han bisogno di alzare un po’ di livello l’asticella della qualità esistenziale della vita. Come riuscire a farlo? Scendendo nel profondo di se. Come è profondo il mare, come siamo profondi noi, se vogliamo.

Ci sono due esperienze che tutti gli adolescenti vivono, chi poco chi tanto, chi prima chi dopo: l’esperienza di innamorarsi e quella di soffrire. Riprendendo un passaggio di un romanzo di D’Avenia, “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, l’autore giunge ad affermare che proprio il saper vivere profondamente queste due esperienze e rileggendole, gli adolescenti possono incontrare Dio.

L’amore e la sofferenza sono come il mare.

Partendo da qui abbiamo proposto ai ragazzi un percorso per indagare questa analogia.

Il mare è fonte di vita, è un caos che fa paura, per navigarlo c’è bisogno di punti luminosi di riferimento, è promettente per chi lo pesca, richiede prudenza e fiducia, è fonte di ispirazione poetica. Così l’amore. Così il dolore.

Ogni giorno della settimana abbiamo loro proposto delle attività formative che li aiutassero a scendere nel profondo e a confrontarsi.

E poi giochi, gite, turni di lavoro per cucinare ottimi pasti…

Tutto ha concorso a vivere una settimana che si aggiungerà sicuramente nell’album dei ricordi preziosi della crescita di questi giovani.

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La pietra della speranza

Di lui è stato detto: “apostolo instancabile della resistenza non violenta”. Oppure: “eroe e paladino dei reietti e degli emarginati”. Oppure ancora: “Redentore dalla faccia nera”.

Avrete capito che sto parlando del leader assoluto della non violenza, il primo americano a teorizzare, a costo della vita, le condizioni della pace, che affondano le radici nel rispetto, nella tolleranza e nella fraternità al di là di ogni differenza: Martin Luther King.

Ho visitato lo scorso anno il suo monumentale memoriale a Washington.

Riguardando le immagini di quella visita mi sono di nuovo emozionato. Il monumento intende ricordare il luogo nel quale ha pronunciato il suo leggendario discorso “I have a dream”. L’ideatore della statua prende spunto da queste parole di Martin Luther King: Io ho davanti a me un sogno… È questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

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Un via vai di relazioni

Certo che i ragazzi ci spiazzano sempre. Giornata di ordinaria amministrazione del Cre. Via vai si intitola quest’anno.

Ed è, come sempre, una circolazione pazzesca di energia. È l’energia dei ragazzi che spendono ogni forza nelle giornate estive del Cre e quando arrivano le 17.30 per la preghiera si addormentano stanchi morti. È l’energia degli animatori che vanno e vengono ininterrottamente in ogni angolo dell’oratorio per dedicarsi, con spirito di vero servizio, ai più piccoli, conoscendoli per nome e aiutandoli a vivere questi giorni nella gioia.

È l’energia, appassionata ed intelligente dei coordinatori che con esperienza ed entusiasmo partono mesi prima ad organizzare queste settimane nel modo migliore possibile. È l’energia delle mamme che in ambiti diversi, dalla segreteria alla mensa, dai laboratori alle pulizie, ci aiutano a creare le condizioni del buon funzionamento della macchina del Cre. I ragazzi ci spiazzano sempre, dicevo. Arriva Hamidou, piccolo musulmano, e mi dice: ma tu ce l’hai una moglie? No gli dico, mia moglie è la comunità. Ma ti piacerebbe avere una famiglia? Ma io, dico, una famiglia ce l’ho, siete voi la mia famiglia. E lui conclude: io cambierei le leggi, perché è troppo bello avere una famiglia. E bravo Hamidou. Famiglia è il luogo del via vai di vita, di emozioni, di collaborazione, di sorrisi.

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Tu chiamale se vuoi emozioni

Mi incuriosisce sempre l’origine delle parole perché ogni parola ha una storia e quando la si usa può sempre ravvivare il pensiero e quindi la vita.

Emozione. Che parola meravigliosa. È come un fuoco che si accende e può divampare un incendio. Se una cosa mi emoziona si accende in me un ardore. Se manca l’emozione tutto è come vuoto e noioso. Ma qual è l’origine di questa parola? Ci sono due scuole di pensiero e onestamente mi convincono entrambi.

Secondo qualcuno “emozione” deriva dal latino “e-movere” cioè agitare, smuovere, scuotere. Secondo altri deriva dal latino “emo-agere” cioè fare sangue, l’azione del sangue.

Nel primo caso ci si riferisce all’emozione come ad un terremoto, un movimento che ha la forza di rimescolare tutto. Infatti l’emozione più forte è l’amore, lo spostamento dei pensieri, dei sensi, e del corpo, un vero e proprio sisma. Anche la seconda ipotesi è molto interessante: solo ciò che appassiona, che è caliente, come dicono gli spagnoli, che scalda rende bella, forte e luminosa la vita.

Le emozioni ci ricordano questi aspetti: il movimento, la luce ed il calore. Ogni emozione ha questa forza che ci smuove e ci scalda.

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La pietà

Che meraviglia questa fotografia! È stata scattata nel mese di aprile del 1964 quando la Pietà di Michelangelo fu trasportata dal Vaticano a New York. Fu un evento unico e irripetibile.

La Pietà è considerata la scultura più conosciuta al mondo. È visitata ogni giorno da circa 40 mila persone e molto si è scritto per approfondire la conoscenza di questo capolavoro assoluto dell’arte e della fede. Michelangelo aveva solamente 23 anni quando la scolpì per il Giubileo del 1500 ed è considerata l’espressione più alta del suo genio.

“Nostra Donna con il Figlio morto in grembo” così la chiamò il Vasari, 60 anni fa compì questo viaggio straordinario.

Così leggiamo nelle cronache: “… lasciò la Basilica Vaticana e la città di Roma per imbarcarsi a Napoli sulla nave Cristoforo Colombo, che, in nove giorni e alla velocità media di 24 nodi, l’avrebbe portata all’esposizione universale di New York”.

In America furono più di 27 milioni i visitatori accorsi per ammirare il capolavoro. Nel novembre del 1965 la scultura ritornò nella Basilica di san Pietro. L’allora pontefice Paolo VI esprimeva la grande gioia per il ritorno e dichiarò che quello sarebbe stato l’unico viaggio della Pietà considerando i grandi rischi corsi per questo eccezionale trasporto e ringraziò i responsabili che “con grande abnegazione si adoperarono per la riuscita di questo viaggio”.

Un’ulteriore clamorosa vicenda riguardò l’opera di Michelangelo pochi anni più tardi, nel maggio del 1972, quando il gruppo scultoreo venne terribilmente mutilato a causa di un pazzo che con un gesto sacrilego lo danneggiò. L’anno successivo l’intervento di restauro restituì a Roma e al mondo intero l’integrità rinnovata della statua.

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