Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

il sito web della comunità parrocchiale San Giuseppe di Dalmine

Pubblicato il
16 Marzo 2024
in Storie di fede e Riflessioni

Con la faccia al muro

L’avvicinarsi della festa di San Giuseppe mi ha riportato alla memoria la figura di una grande santo profondamente devoto a San Giuseppe: Daniele Comboni, il santo missionario nato a Limone sul Garda nel 1831, apostolo della “nigrizia” che considerava la fede come l’arma più potente per restituire agli africani la loro dignità. La strategia di Comboni in sintesi si può ritrovare nel suo slogan: Rigenerare l’Africa con l’Africa.

Ordinato vescovo promosse molte opere missionarie e consapevole che avrebbe avuto bisogno di molte risorse economiche ebbe l’idea di una nomina alquanto originale per la sua congregazione: costituì san Giuseppe come economo generale della sua “impresa”.

In qualunque necessità si rivolgeva a lui, esattamente come un superiore si rivolge all’economo. Questa scelta denota la fiducia cieca che aveva per Giuseppe.

Ci fu un tempo in cui alla porta di Comboni bussavano fornitori arrabbiati per non essere stati ripagati per il loro lavoro. Non sapendo più come fare si mise a pregare San Giuseppe con una preghiera sorprendente: Giuseppe, se non mi mandate il denaro necessario vi metto con la faccia al muro. E voltò la faccia dell’Economo contro il muro, fino a quando non fosse intervenuto.

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Pubblicato il
9 Marzo 2024
in Primo piano, Storie di fede e Riflessioni

Mira il tuo popolo

C’è un canto mariano che quando ero piccolo lo sentivo cantare in chiesa mi suonava un po’ strano. “Mira il tuo popolo”. Mi immaginavo la Madonna che, chiudendo un occhio, prendeva la mira sul popolo. Crescendo ho appreso che il verbo “mira” in spagnolo significa guardare con attenzione, osservare, ammirare ed anche ragionare, considerare. Ci sono due vocaboli che derivano da questa radice: miracolo e meraviglia. Il miracolo, letteralmente, è una cosa meravigliosa, è un evento straordinario che si pone al di fuori delle leggi naturali e che si deve attribuire all’azione di Dio, l’unico che può operare miracoli. Il miracolo è qualcosa di mirabile. La meraviglia è il sentimento di stupore suscitato da una cosa nuova, inattesa e straordinaria. La meraviglia, secondo Platone è la causa della sapienza, della filosofia e della religione. La meraviglia è lasciare che la bellezza riempia gli occhi, la mente e il cuore. Mi vengono in mente le parole di santa Teresa di Lisieaux quando sul suo diario annota queste parole tornando dal suo pellegrinaggio a Roma: non avevo occhi bastanti per ammirare le meraviglie della natura, dell’arte e della fede. Pare che gli uomini di oggi vivano una sorta di deficit della meraviglia. Prima di tutto perché l’uomo di oggi da un po’ tutto per scontato e poi perché tende a sostituire lo stupore con la visione tecnica della realtà: non si riesce più a guardare le cose come segni di una realtà che sta al di là di ciò che si vede e si tocca. Lo sguardo scientifico sostituisce oggi lo sguardo poetico. Affermava Pablo Neruda che meravigliarsi è saper leggere la fiaba che c’è dentro ogni cosa, è amare la vita da dentro e da fuori, reggendone il peso e la leggerezza, è guardare la vastità del mondo e la sua pienezza, è sentirne l’ispirazione fino in fondo, è godere della sua profonda bellezza. Il segreto per essere ancora capaci di meraviglia è di non essere cinici e di non perdere la gioia per le piccole cose, la compagnia fraterna degli altri, un abbraccio, un perdono, un tramonto, il sorriso dei bambini…  Mira il tuo popolo, o bella Signora, che pien di giubilo oggi t’onora. Anch’io festevole corro a’ tuoi piè; o Santa Vergine, prega per me! Chiedere a Maria di “mirare” il popolo significa sicuramente domandarle di guardare il popolo e di aiutarlo, di soccorrerlo. Ma può anche significare: Maria, ammira il tuo popolo, meravigliati, perché esso è mirabile, è un miracolo. In effetti noi, creati ad immagine di Dio, siamo dei prodigi, siamo una meraviglia.

Don Roberto

 

Pubblicato il
2 Marzo 2024
in Storie di fede e Riflessioni

La tartaruga e la vela

In un libro del liceo ho ritrovato un’immagine che quando ero giovane mi aveva molto colpito e che ora mi colpisce ancora di più. Su di un cartoncino avevo incollato il simbolo di Cosimo de’ Medici, il duca di Firenze e sotto ci avevo scritto lo slogan latino di Augusto l’Imperatore romano: “Festina lente” che tradotto in italiano suona: “Affrettati lentamente”. Cosimo l’aveva scelto questo slogan come emblema della sua flotta navale. La raffigurazione presenta una tartaruga con la vela. I romani invece accompagnavano lo slogan con un altro simbolo e sulle monete coniavano l’ancora con il delfino.

Sembrerebbe una contraddizione: o ci si affretta o si procede lentamente. Un conto è fare le cose di fretta e un conto è farle lentamente. Sembra una contraddizione tra velocità e la prudenza. In realtà l’espressione “affrettati lentamente” è un bell’invito per vivere in maniera determinata e per tessere l’elogio della lentezza.

A volte ci affrettiamo nevroticamente e consumiamo tutto ciò che ci arriva a tiro: cibo, relazioni, divertimento, emozioni. Bisognerebbe imparare a vivere con lentezza per gustare meglio ciò che mangiamo, i rapporti con le persone, il nostro tempo libero, le nostre passioni.

D’altra parte è possibile confondere la lentezza con la pigrizia. Ci si muove blandamente senza grinta, preferendo il divano e le comodità. Allora abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mossa e ci dica di affrettarci.

Festina lente significa procedere con determinazione e nello stesso tempo con cautela, muoverci spediti senza indugio e insieme ponderare bene i passi da fare.

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Pubblicato il
27 Febbraio 2024
in Attività del Gruppo Adolescenti, Primo piano, Proposte per gli adolescenti

Convivenza ado2 2024

“Non stare dove non fiorisci” 

Vita comune: Per me fare vita insieme significa come prima cosa portare rispetto reciproco in ogni situazione in cui si è con gli altri e come altra cosa penso che per vivere serenamente sia fondamentale saper mettere le proprie cose private da parte e dare priorità e tutto di se stessi al gruppo per vivere dei momenti insieme e felici.

Emozioni: A volte è molto difficile gestire le proprie emozioni trovandosi a vivere con altre persone che non fanno parte nella nostra quotidianità, ma il confronto porta a rendere la convivenza un’ esperienza unica. Si possono avere dei giorni no e non voler aprirsi o semplicemente parlarne con qualcuno ma l’obiettivo della convivenza è anche quello di controllare le proprie emozioni per fare sentire gli altri a proprio agio e creare un clima sereno. Nervosismo, tristezza, entusiasmo, rabbia, felicità: tutte queste emozioni ci hanno accompagnato e travolto durante questi giorni rendendoli un ricordo indimenticabile e una crescita a livello personale e anche del gruppo.

Fatica: Faticare è impegnarsi sapendo per certo che raggiungere quel qualcosa per cui ci stiamo impegnando non sarà per niente facile. Capita di arrendersi in questi casi e spesso questo comporta un rimpianto poiché la fatica sarà tanta, ma il risultato sarà sicuramente soddisfacente. L’autorealizzazione richiede fatica e non trovo cosa migliore nel faticare per qualcosa che porta felicità a noi stessi. Se noi abbiamo compiuto questa fatica e abbiamo raggiunto un obiettivo ci sentiremo pieni di noi poiché non può essere altro che farina del nostro sacco. La vita è fatta di continue fatiche, ma queste hanno anche degli aspetti positivi. Faticando si cresce, si impara e ci si forma per affrontare nuove difficoltà che non è detto saranno più facili.

Occasioni perse: Per occasioni perse per me sta a significare come “una rinuncia” del tipo non poter uscire il pomeriggio o la sera o fare determinate cose della vita privata / quotidiana dando importanza, priorità e valore al gruppo.

Pregare insieme: Credo che, durante la convivenza, il momento di preghiera collettiva sia un momento in cui ognuno mette qualcosa di sé a disposizioni degli altri. È un momento in cui tutti siamo riuniti a riflettere su un argomento che a noi può sembrare molto difficile ma che è essenziale per la nostra crescita.

Argomenti affrontati: Abbiamo affrontato tanti temi, sull’ importanza di fiorire e essere se stessi senza farci tentare dai vizi e dalla moda, riconoscendo le nostre qualità e doni personali, avendo fiducia nell’ altro senza avere pregiudizi, vivendo le diversità e imparando a riconoscere i tralci della nostra vite da potare.

Conclusione: Ringrazio tutti, sia gli animatori sia i ragazzi che hanno fatto la convivenza insieme a me, li ringrazio di avermi fatto vivere momenti diversi dal solito. È stato bello il fatto di tornare a casa e trovare tanta gente, non come normalmente nelle nostre case che a pranzo e a cena mi ritrovo ha mangiare da solo o solo con i miei genitori.

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Pubblicato il
24 Febbraio 2024
in Storie di fede e Riflessioni

Cosa abbiamo di più prezioso?

Nell’atrio d’ingresso della galleria Borghese c’è un gruppo statuario che si riferisce ad una storia estremamente affascinante. La statua rappresenta un cavallo e un cavaliere e la storia si riferisce alla leggenda raccontata dallo storico romano Tito Livio riguardante un certo Marco Curzio.

La leggenda racconta che nel 362 A.C. a Roma si aprì una voragine. Un buco che si allargava sempre di più e che non aveva fondo. Vennero interrogati i sacerdoti i quali interpretarono questa voragine come segno di sventura con la premonizione che il precipizio avrebbe inghiottito l’intera città di Roma a meno che non si fosse gettato nel baratro ciò che  i romani avevano di più prezioso. Tutti incominciarono a pensare all’oro, alle proprietà, ai gioielli… il giovane Marco Curzio considerò invece che ciò di più prezioso che aveva era il… coraggio. Così si gettò nella voragine insieme al suo cavallo, il pericolo per la città di Roma fu scampato e immediatamente la voragine si trasformò in un ameno laghetto.

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Pubblicato il
17 Febbraio 2024
in Storie di fede e Riflessioni

I giovani di Cuba e l’adorazione

È venuto a trovarci don Sergio Armentini curato del nostro Oratorio dal 2009 al 2011, attualmente missionario a Cuba nei villaggi della cittadina Baracoa. Nel racconto della sua testimonianza mi ha colpito in particolare una cosa. Ci ha parlato di molti aspetti, della situazione sociale e politica di Cuba, del desiderio che hanno i giovani di uscire dall’Isola, dell’organizzazione della Parrocchia e della missione, del cibo, della scuola, di come abbia imparato alla svelta a vivere sobriamente facendo a meno di tante cose, di come stia facendo l’esperienza che “essere prete” significa concentrarsi sull’essenziale, ecc…

Sinceramente la cosa che più mi ha colpito è la questione dell’Adorazione Eucaristica. Don Sergio ci racconta che i ragazzi e i giovani sono molto disponibili a pregare, anche per lungo tempo, in silenzio davanti all’Eucarestia e che anzi quella è la forma di preghiera che più prediligono. Perché mi abbia colpito questa cosa è subito detto:  da noi succede esattamente il contrario. Si fa una fatica terribile a stare davanti all’Eucarestia, in preghiera silenziosa, la chiesa è quasi sempre vuota quando, nel primo venerdì del mese si espone il Santissimo e nei ritiri dei ragazzi e dei giovani è raro che si riesca a proporre l’adorazione.

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