Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Il ricordo di un dolore

Stiamo entrando nei primi giorni di Novembre, giorni in cui la nostra memoria si riempie degli innumerevoli volti di chi abbiamo amato e ci ha preceduto nel grande Passaggio, di amici, parenti benefattori.

Sono giorni di sofferenza e di speranza che siamo chiamati ad attraversare con equilibrio e con fiducia.

Recentemente ho accompagnato un professore a visitare l’Accademia Carrara. L’avevo vista tantissimi anni da seminarista. Molte le opere che colpiscono. Ma ce n’è una che ha letteralmente rapito i miei occhi. È una tela di Pellizza da Volpedo  intitolata “Il ricordo di un dolore”. Se l’avevo già vista non lo ricordo, probabilmente non mi aveva colpito così tanto. Pellizza è famoso per “Il quarto stato”, l’icona sociale della fine dell’Ottocento.

Passeggiando nelle sale dell’Accademia mi ritrovo di fronte a quest’opera e a lungo la contemplo.

Scrive il pittore stesso: «Tornato immediatamente da Parigi colpito dalla morte di mia sorella Antonietta, volli ricordare il mio dolore con una mezza figura intitolata appunto “Il ricordo di un dolore”».

Il senso di quest’opera sta tutto in queste parole. Pellizza si trovava a Parigi per studi e la sorella Antonietta muore a soli 22 anni. Chiede alla modella Santina Negri di posare ma in quella donna in realtà c’è il suo dolore, trasferisce cioè i propri sentimenti nel volto e nel corpo della modella. C’è tutta la sua tristezza e l’angoscia provata per la perdita della sorella. Ad imprimere un senso di smarrimento è sicuramente la scelta di dipingere la donna in una stanza vuota, senza nessun mobile, ne decorazione. La donna è seduta, abbandonata, sulla poltrona ed ha lo sguardo perso nel vuoto, il volto che esprime l’angoscia per la morte, gli occhi arrossati dal pianto.

Anche i colori contribuiscono a rendere il dolore concreto e realistico: tagli netti, dal blu della gonna al bianco della camicia e il contrasto della fascia gialla.

Ma il “ricordo di un dolore” pare circondato anche da alcuni simboli di speranza. Innanzitutto la mano sinistra, fortemente aggrappata alla sedia, è un allusione alla speranza, che sempre è stata rappresentata dall’ancora. Abbiamo cioè bisogno di qualcosa (o Qualcuno) a cui aggrapparci perché la sofferenza abbia il senso del parto e non della distruzione.

Anche la mano destra ci dice qualcosa di importante: sta infatti sostenendo un libro nel quale, su di un foglio, l’artista disegna una viola del pensiero. Questo fiore, data la sua delicatezza, è il simbolo della bellezza e della semplicità della vita, ma soprattutto dell’amore sincero, quell’amore che non può essere spezzato nemmeno dalla morte.

L’ultimo messaggio di speranza che supera il dolore è affidato alla porta che si intravede alle spalle. La porta ci ricorda sempre la possibilità di un’apertura di un passaggio, di una Pasqua.

Ora riguardo gli occhi di questa donna: mi pare che non siano abitati solo dalle lacrime ma anche da una profonda luce, la luce della speranza.

I giorni del Santi e dei Defunti per noi cristiani sono giorni di preghiera, di ascolto e di desiderio che la speranza non muoia.

Don Roberto

 



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