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Fatemi prendere sul serio il gioco della scopa

Le vacanze estive ci permettono di aver un po’ di tempo per gustare qualche passatempo come per esempio giocare a carte.

Tra i giochi più diffusi c’è certamente “la scopa” con tutte le sue varianti. È un gioco antichissimo che nasce nel Quattrocento a Napoli, nel porto, dove i pirati e i pescatori si fermavano per giocarsi i bottini dei vari assalti alle navi mercantili.

Si dice che sia un gioco inventato dai muti perché sarebbe bandita ogni forma di comunicazione verbale. I più esperti e smaliziati giocano segnandosi le carte. I più bravi sono ovviamente coloro che riescono a tenere a mente le carte giocate e a mettere in atto strategie affinché gli avversari non facciano punti.

Erri De Luca nel suo romanzo “Il giorno prima della felicità” racconta la storia di un ragazzino solitario rimasto orfano che frequenta don Gaetano un tuttofare di Napoli che, tra le tante cose, gli insegna a giocare a scopa e gli racconta la vita di Napoli.

Nel romanzo c’è un passaggio che si riferisce al gioco della scopa definendola simbolicamente “religiosa”.

“Don Gaetano, io non sono serio, sono tragico, uno scarto del genere comico. Fatemi prendere sul serio almeno il gioco della scopa, che è una mezz’arte religiosa. Sicuro, religiosa: la carta più importante è il 7, che è il numero della nostra novità di ebrei. Sono stati gli ebrei a inventare la settimana. Prima i calendari andavano a luna e a sole. Poi la nostra divinità ci ha fatto sapere che i giorni erano sei più uno. A santificare il numero 7 prima della scopa, siamo stati noi. Il mazzo contiene 40 carte, come gli anni passati nel deserto, tra l’uscita di Egitto e l’entrata nella terra promessa. E poi c’è lo spariglio, una variante della presa di carta su carta uguale. Si può prendere la somma di più carte. Quest’è un’invenzione che non c’è in natura. La natura va per coppie, la scopa va per spariglio. Il cartaro ha interesse a conservare tutto apparigliato, l’avversario no. E’ una lotta tra l’ordine e il caos. Fatemi prendere sul serio il gioco della scopa.”

Smilzo, così è chiamato il ragazzo del romanzo, è radicalmente assetato di verità e di amore e da don Gaetano impara il gioco dello spariglio ma soprattutto impara la vita e diventa un uomo. E nel farsi uomo impara soprattutto che la vita è un equilibrio difficile fra amore e odio, fra guerra e pace, fra ordine e caos.

I personaggi del romanzo non sono i veri protagonisti. Il vero protagonista è Napoli, cioè il mondo, che ondeggia tra il tragico e il comico, mondo accuratamente annotato dallo Smilzo nel suo diario. Anche il gioco della “scopa” può alla fine diventare una lezione di vita.

Don Roberto

 



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