Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Le parole della Quaresima: La croce

Almeno ogni giorno sento qualcuno che dice: “è la croce che il Signore mi ha dato“. Il riferimento è generalmente collegato con le sofferenze, le malattie, i lutti, le difficoltà di relazione interpersonale…

Se c’è un’immagine distorta di Dio, profondamente radicata nella mentalità della gente, è quella del Dio che si diverte a “mandare” le croci agli uomini per torturarli. Questa idea ha addirittura la forza di deformare l’essenza stessa di Dio: è una bestemmia. Infatti se confrontiamo questo modo di pensare con quanto insegnano i vangeli vediamo che nel Nuovo Testamento mai viene associata la figura della “croce” con la tribolazione dell’uomo. È nel V secolo che compare in una preghiera cristiana la “croce” col significato di “sofferenza”.

Al tempo di Gesù, più che un sistema di esecuzione capitale il supplizio della croce era usato come crudele tortura che dopo strazianti tormenti e una lenta dolorosissima agonia conduceva alla morte, che sopravveniva dopo tre o perfino sette giorni.

Quando Gesù, rivolgendosi a coloro che intendono seguirlo, li esorta a prendere la croce, intende la croce come conseguenza di una libera scelta fatta dall’individuo che, accolto Gesù ed il suo messaggio, ne accetta anche le estreme conseguenze di umiliazione. La croce dunque è “il prezzo” che chi vuole seguire Gesù deve essere disposto a pagare. La croce è la misura del nostro amore per Gesù.

Come mirabilmente afferma un biblista: “La croce non è una sorta di spada di Damocle che grava su tutta l’umanità, ma – come per Gesù – la possibilità di rendere visibile l’amore del Padre al mondo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…” e, per Gesù la capacità di manifestare pienamente se stesso: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono”. Gesù nella croce dimostra chi è Dio e chi è l’uomo che ha in lui la sua massima realizzazione. La croce – espressione d’amore di Dio all’uomo – è la nuova Scrittura che – parlando il linguaggio universale dell’amore – può essere letta e compresa da tutta l’umanità”.

Prendere la croce quindi non è subire da rassegnati quanto di brutto ci accade nella vita, ma accettare volontariamente e liberamente, come conseguenza della propria adesione a Gesù, la fatica dell’amore, che, sola, ci fa essere davvero noi stessi.

Ci stiamo avvicinando ai giorni della passione e morte di Gesù. Come credenti possiamo trovare in Maria il grande incoraggiamento a vivere la croce. Il Vangelo di Giovanni non presenta una madre oppressa dal dolore, che comunque sta vicina al figlio anche se questo è condannato come un criminale. Non deve essere stato facile per Maria stare dalla parte del Figlio, deriso, umiliato, schiacciato. Eppure Maria è la coraggiosa discepola che ha scelto di seguire il Maestro a rischio della propria vita, mentre gli apostoli, che avevano giurato di esser pronti a morire per lui, sono vigliaccamente fuggiti. Prendere la croce ogni giorno è scegliere liberamente e per amore di stare con Gesù. Costi quel che costi.

Don Roberto



in I tempi forti dell'anno liturgico, Storie di fede e Riflessioni