Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Il lavoro del prete al servizio della comunione

Poveri voi, mi dice un vecchio amico che in chiesa non vi mette piede da più di cinquant’anni. Perché me lo dici? Perché voi preti siete sempre di meno e dovete lavorare di più. Beh, gli dico, se fanno tutti come te non ci sono problemi.

Sto proprio leggendo in questi giorni l’ultimo libro di Luca Diotallevi, il noto sociologo cattolico, sempre molto attento alla vicenda dei cristiani nel mondo di oggi. Il libro si intitola “La Messa è sbiadita” e a partire dalle recenti statistiche riflette sul significato attuale della partecipazione dei fedeli al momento principale della fede: l’Eucarestia.

Nella lettura trovo questo passaggio e mi viene in mente il mio vecchio amico mangiapreti: “Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli ordinati negli anni ‘90 ma non c’è paragone con i laici che si recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane”.

La lettura di questo capitoletto al primo momento mi ha rassicurato: siccome ci sono meno fedeli posso lavorare di meno, ho perfino pensato.

Poi invece mi sono preoccupato: perché i fedeli sono diminuiti del 23,7 per cento? Che responsabilità abbiamo come preti? E soprattutto cosa e come potremmo fare diversamente?

La nostra Diocesi alcuni mesi fa ha indetto un’assemblea straordinaria dei preti e il Vescovo ci ha esortatati ad un confronto serrato su questo tema: “Forme di ministero a partire dal parroco con più parrocchie e presbiteri corresponsabili”. Per provocare la riflessione è intervenuto un sacerdote di Cremona che ha offerto sinteticamente questi spunti:

Il prete non deve più essere solo. Per consentire il ritorno della ragione evangelica che colloca chiunque “in famiglia”. Ecco perciò una prima esigenza: lavoro d’insieme; e una promessa: sarà più evangelico. Ma anche una fatica: si tratta di una palestra complessa che riscrive i confini e i termini di azione del prete. Nella nostra diocesi molti sono i preti che vivono da soli: bisognerà ripensare alle case parrocchiali, soprattutto quelle delle valli, per renderle dimore di comunità, preti, consacrati e laici che insieme  gestiscono la vita pastorale di un territorio.

In secondo luogo nell’attuale forma di Chiesa si chiede che la leadership sia vissuta come servizio alla comunione, come carisma di sintesi e non come forma di potere del prete. È vero che la chiesa continua ad essere fortemente clericale, tuttavia il numero sempre più ridotto dei preti costringerà la chiesa a considerare seriamente altre forme di conduzione delle parrocchie.

Infine, appunto, è necessario scrivere nuove pagine di teologia del laicato perché anche e soprattutto le trasformazioni sociali e spirituali dei laici incidono sulla comprensione e l’esistenza della comunità dei preti.

Il carico di lavoro del prete è calato, si è vero, però speriamo che non sia diventato insignificante.

Don Roberto

 



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