Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Felix culpa

Per divertirmi mi soffermo spesso, appunto come un gioco, sull’etimologia delle parole. Ma poi mi accorgo presto che tanto gioco non è. La parola individuata questa volta è “felice”.

Il dizionario apre un ventaglio di significati che convergono nella radice “feo” = che possiede quello che veramente appaga i desideri, che ha vantaggi, che produce, che è fecondo…

Una terra felice è una regione ricca dei doni della terra. Una risposta felice è tale quando genera nuove prospettiva, nuovi punti di vista. Un carattere felice è quello di chi, anche in condizioni difficili, rimane fecondo. Una relazione felice è quella che genera benessere e speranza.

Mi colpisce la correlazione tra felicità e fecondità. «Chi è felice?» – domanda una monaca ad un gruppo di giovani universitari. E spiega: «Sapete bene, per esperienza, che felice non è chi raggiunge un risultato. Non è facile capire cosa voglia dire essere felici. Felice è chi è fecondo, chi genera vita intorno a sé, fisicamente o spiritualmente».

A questo proposito c’è un’espressione che mi ha sempre molto interessato, Felix culpa. L’ha commentata, in un’omelia Pasquale, sant’Agostino nel terzo secolo ed è uno dei passaggi più belli dell’exultet, l’annuncio di Pasqua che quest’anno abbiamo avuto il piacere di ascoltare il Sabato Santo cantata dal nostro don Agostino nella sua lingua congolese.

Il testo latino dice: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» tradotta in italiano: Beata colpa, che meritò tale e così grande Redentore.

Il male del peccato diventa fonte di bene perché merita il perdono e l’esperienza dell’amore di Dio che diversamente, senza peccato non saprei sperimentare.

Il male viene chiamato felice perché diventa fecondo e genera il perdono.

Anche San Tommaso ribadisce, citando la lettera di Paolo ai Romani che dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia. Dio cioè permette che sia il male perché da esso si possa trarre un bene più grande.

Felix culpa: il mio peccato non mi deprime, ma se lo riconosco e lo confesso diventa fecondo e genera felicità.

Per questo si bambini della prima confessione dico sempre che nella vita non sperimenteremo mai una felicità più intensa di quando siamo perdonati. Grazie appunto al nostro peccato. Il che non vuol dire che allora dev’essere approvato ogni peccato e addirittura spronata ogni via di male. Significa invece non fermarsi alla negatività delle nostre scelte e sperimentare la fecondità di ogni esperienza, anche del peccato.

Felici noi quando, anziché chiuderci in noi stessi, sappiamo generare vita intorno a noi.

Don Roberto



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