Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Dimmi come fotografi e ti dirò chi sei

Tutti, nell’epoca dello smartphone e dei social abbiamo iniziato a fotografare ininterrottamente e abbiamo la memoria del nostro telefono sempre colma per le innumerevoli immagini che traffichiamo.

Se penso a come si facevano le fotografie una volta viene proprio da sorridere: ci voleva molto tempo, occorreva una macchina, la pellicola, lo sviluppo… come è cambiata la fotografia ai tempi dei selfie. La macchina fotografica si usava in occasioni speciali, un matrimonio, una festa, un viaggio. Oggi ci sentiamo tutti fotografi, in tempo reale, immediatamente.

Gli esperti parlano giustamente di iperfotografia e le parole d’ordine sono: scattare, elaborare, condividere.

La cosa bella è che oggi la fotografia è molto accessibile e non la usiamo solo per immortalare momenti importanti ma anche per esprimerci. Magari per esprimere sentimenti e idee profonde oppure cose banali, ovvie o inutili, comunque sempre espressione di ciò che siamo.

Questa è la cosa positiva: l’interesse ad esprimersi attraverso le immagini. Anche se non dovremmo dimenticare che la fotografia è un’arte. Dice un fotografo professionista: io sono fotografo, uso un mezzo che si chiama fotografia che si possa fare attraverso uno smartphone, un apparecchio digitale o la pellicola. Non mi sento sminuito perché miliardi di persone lo fanno, anzi è meglio! Non deve essere un ambito chiuso per pochi eletti. Le cose si valutano sui risultati che si hanno.

In uno dei suoi straordinari racconti Italo Calvino analizza, con profetica lucidità questo tema attualissimo: la smania di fotografare tutto e sempre.

Il racconto si intitola. “L’avventura di un fotografo. Amori difficili”, scritto nel 1970. C’è un passaggio nel quale Calvino afferma: “Basta che cominciate a dire di qualcosa “Ah che bello, bisognerebbe fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia”.

Stupidità e pazzia sono gli esiti prospettati da Calvino. Oppure? Oppure, dico io, un’espressione sobria, personale, quasi poetica, di ciò che per noi conta davvero. E poi occorre un po’ di pudore che è la virtù che ci fa evitare di mettere nella piazza virtuale tutto e sempre senza proteggere le nostre cose più profonde. Siamo fortunati noi ad avere una tecnologia che ci permette di esprimerci. Pensate se questa tecnologia ci fosse stata al tempo di Gesù, o nel medioevo, o nel rinascimento. Poi però dico: certe espressioni sono sopravvissute, nella loro purezza, bellezza e verità, oltrepassando i secoli. Cosa resterà dei nostri selfie?

Don Roberto

 



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