Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Gesù non lasciarmi solo

Cercavo un’immagine che mi aiutasse ad entrare nella Quaresima e mi facesse vibrare il cuore. Sfogliando il libro su Michelangelo mi è comparsa davanti agli occhi la sua ultima opera, quasi il suo testamento spirituale. Prossimo alla morte decide di comprare un enorme masso di marmo e di lavorare, per se stesso, al suo ultimo capolavoro, senza nessuna commissione, per se stesso appunto.

Lo esegue in due tempi. Inizia a scolpire nel 1553 e la rielabora fino a pochi giorni prima di morire, nel 1564, quando aveva 89 anni. Il suo desiderio era di scolpire un’opera da collocare sulla sua tomba. Decide di sceglier come soggetto: l’abbraccio di Gesù morto e di Maria che lo sostiene da dietro.

La scultura venne trovata dopo la sua morte e fu descritta dal suo biografo con queste parole: “Statua  principiata per un Cristo ed un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite”.

Solamente nel 1952 la “Pietà Rondanini” fu acquistata dal Comune di Milano e collocata nel museo del Castello Sforzesco.

Sappiamo come per Michelangelo la scultura fosse l’arte “togliere” dalla pietra per svelare il segreto che lui intuiva fosse dentro la materia.

La Pietà Rondanini è l’incompiuta di Michelangelo. La morte l’ha colto prima che l’opera fosse finita. Anche se il “non finito” rimane per l’artista già un grande messaggio: è la consapevolezza di quanto l’esperienza umana sia frammentaria, fragile, abbia un termine. Nella sua incompiutezza c’è la lotta tra la vita e la morte. Penso a quanta fatica per l’anziano Michelangelo, colpo dopo colpo, per estrarre dal marmo l’opera custodita al suo interno.

Contemplando questa statua mi viene in mente il commento di un sacerdote bergamasco, morto pochi anni fa per la SLA, don Roberto Pennati, che nell’epilogo del suo libro “Autoritratti” guarda la statua con i suoi occhi di ammalato e afferma: “Non appena ho visto la Pietà Rondanini mi son detto: quelle gambe sono le mie, così sono io quando sto in piedi”.

Il Cristo morente è il simbolo di ogni ammalato, ma anche di chi avverte la fatica di vivere e la paura della morte.

Questo è ciò che mi fa iniziare la Quaresima con un’intensa vibrazione del cuore.

Dietro c’è la Madre, forte e tenera, che sostiene il Figlio.

È proprio questo “attaccamento” delle due figure è il senso del capolavoro di Michelangelo.

Maria sembra dire: Gesù non lasciarmi sola.

Gesù sembra dire: Mamma non lasciarmi solo.

Infatti guardando la statua non si capisce chi sostiene chi.

Bisogna guardarla dal lato questa statua per cogliere il movimento impresso dalla curvatura dei corpi. Pare ci sia un senso di slancio verso l’alto come se la morte di Cristo rimandasse al prossimo evento da attendere: la Pasqua della Risurrezione.

Entro nella Quaresima con il cuore penitente. Penitenza non è sinonimo di tristezza, di abbattimento, di frustrazione. Al contrario la penitenza è una preghiera accorata: Gesù non lasciarmi solo. Penitenza è aprirsi alla luce per avere coscienza di noi stessi, della nostra fragilità e provare a gustare l’esperienza della misericordia di Dio.

Il Signore vede e conosce nella verità chi siamo e come siamo. Conosce la nostra fragilità, i territori del nostro peccato e della nostra fatica di vivere.

Eppure, pur conoscendoci, ci ama e ci sostiene.

La Quaresima è il tempo di ritirarci con frequenza nel silenzio per renderci conto con stupore che nel momento in cui noi ci avviliamo e ci butteremmo via Lui ci avvolge con un amore ancora più grande, ci libera dal nostro male di vivere e ci riveste di forza nuova.

Don Roberto



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