Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

il sito web della comunità parrocchiale San Giuseppe di Dalmine

Il “Cristo di San Juan de la Cruz” di Salvador Dalì: un’opera per entrare nel mondo di Dio

Pur essendo probabilmente il più spettacolare dipinto a carattere religioso di Dalì, l’idea di dipingere il Crocifisso “dal punto di vista di Dio” proviene da un piccolo disegno di uno dei più grandi mistici del cristianesimo, san Giovanni della Croce, autore dell’opera: “la salita del Monte Carmelo”.

La grandezza mistica e artistica del disegno di San Giovanni della Croce ha colpito Salvador Dalí, che nel 1951 ha dipinto il quadro, noto a livello mondiale, che Dalì ha voluto proprio intitolare: Cristo di San Giovanni della Croce.

Il disegno di Dalì è ovviamente più famoso di quello di san Giovanni della Croce, ma la genialità del mistico spagnolo del 1500 nasce dalla meditazione e dalla preghiera.

Nel suo libro mette in bocca a Dio la risposta a coloro che cercano sempre segni e rivelazioni mistiche: Dio Padre dice: “Ho già detto tutto nella mia Parola, Gesù. Cosa ti posso rispondere o rivelare ora che sia più di questo? Poni gli occhi solo in Lui, perché in Lui ti ho detto e rivelato tutto, e troverai in Lui ancor più di quello che chiedi e desideri… Se volessi che ti dicessi qualche parola di consolazione, guarda mio Figlio, soggetto a me, assoggettato al mio amore e afflitto, e vedrai quante te ne dirà” (Salita al Monte Carmelo 22, 5-6).

Dalì non era un uomo religioso, ma “Il Cristo crocifisso” suscita in chi osserva questo dipinto una profonda emozione.

Cristo occupa la maggior parte della superficie, ma non è visto di fronte come siamo abituati a vederlo rappresentato nella tradizione pittorica. Dalì pone il punto di vista dall’alto, da sopra la croce, quindi la figura di Cristo la vediamo di scorcio dall’alto verso il basso.

Guardando con attenzione Cristo e la croce notiamo come essi possano essere racchiusi all’interno di un triangolo capovolto, mentre le spalle e la schiena delle figura di Gesù delineano la forma perfetta di una circonferenza. Per Dalì il triangolo e il cerchio erano la somma perfetta di tutte le esperienze che lui aveva studiato.

Mancano i segni della passione, i chiodi, la corona di spine, le ferite, il sangue. Dalì stesso affermò che era sua intenzione di dipingere “Gesù bello come Dio, quale Egli era veramente”.

Il paesaggio con le figure umane nella parte bassa della tela,  fanno pensare ai discepoli sulle rive del lago, là dove è iniziata l’avventura dei discepoli con il Maestro.

In questi giorni ero alla ricerca di un’opera d’arte che raccontasse l’esperienza della sofferenza non dal punto di vista umano, ma dal punto di vista di Dio.

Come un colpo di luce mi è mi è venuto in mente questo dipinto.

Contemplandolo siamo accompagnati nel tempo di Dio. Per Lui la sofferenza è come il parto: come Gesù soffrendo nasce alla vita piena, così i suoi discepoli interpretano la croce come la fioritura dell’amore e della salvezza.

In tutto il Vangelo Gesù non pronuncia mai parole per spiegare la sofferenza. Semplicemente soffre e si mette accanto a tutti i sofferenti del mondo per sussurrare la parola della speranza.

Vorrei dedicare la contemplazione di questo dipinto a tutte le famiglie che hanno vissuto 76 anni fa la sofferenza per la morte di un loro congiunto per il bombardamento della Dalmine e per tutte le famiglie che nel tempo della pandemia sono stati crudelmente separati dai loro cari che non hanno nemmeno avuto il tempo e l’opportunità di un sereno congedo.

Il Padre, che ci parla nel Crocifisso, ci comunichi la pace e la consolazione che provengono solo da Lui.

Don Roberto



in Storie di fede e Riflessioni