Quando Ulisse ritorna, sotto le spoglie di un mendicante, nella sua isola di Itaca nessuno lo riconosce. Nemmeno la moglie Penelope e tantomeno il figlio Telemaco.
Ulisse entra nel palazzo, Penelope gli fa delle domande sulla guerra di Troia e poi, dice ad Euriclea, la nutrice fedele di Ulisse: prenditi cura di lui e poi congedalo.
L’anziana balia lo riconosce mentre si prende cura di lui e gli lava i piedi. Lo riconosce per una cicatrice che Ulisse aveva sulla gamba e che si era procurato da giovane in una battuta di caccia.
Dalla cicatrice riconosce il suo re.
Scrivo questa nota durante un tranquillo pomeriggio di una domenica di luglio. Nel Vangelo di questa domenica abbiamo ascoltato la celebre parabola del buon Samaritano. Proprio pensando al malcapitato lasciato mezzo morto sulla strada ho pensato alla cicatrice di Ulisse. Come la cicatrice è il segno di riconoscimento del re così i segni delle percosse sulla strada da Gerusalemme a Gerico, sono il riflesso del divino. O meglio attraverso la cura verso il malcapitato il Samaritano coglie la presenza di Dio.
Il segno di una ferita, la cicatrice, diventa il riflesso di una Presenza mai dimenticata.
C’è un santo che mi ha sempre affascinato per la sua biografia e per la sua vocazione. Si chiama Camillo De’ Lellis (1550-1614). Era un giovane pigro e rissoso, per questo il padre decise di avviarlo alla carriera militare. A vent’anni un’ulcera al piede lo costrinse a fermarsi per farsi curare a Roma. Una volta guarito tornò a dedicarsi alle armi. Morto il padre cominciò a condurre una vita disordinata, segnata dal vizio del gioco.
Da vagabondo percorse quasi tutta l’Italia fino a quando venne assunto dai cappuccini a Manfredonia dove per Grazia di Dio ottenne il dono della conversione maturando la sua vocazione per l’assistenza ai malati e fondando la congregazione dei Camilliani per la cura degli infermi.
Camillo contemplava la gloria di Dio nelle piaghe degli infermi e diceva ai suoi discepoli: Se coloro che non credono vedranno la nostra carità per gli ammalati non avranno bisogno di altri argomenti per convertirsi, perciò fratelli mettiamoci più amore in queste mani.
San Camillo ripeteva spesso che le ferite possono diventare feritoie. Ma come si può contemplare la gloria di Dio nelle ferite?
La risposta più eloquente è il Crocifisso che con le sue ferite svela la luce e la potenza di Dio.
La gloria di Dio si rivela nelle ferite quando le riconosciamo come parte della nostra condizione umana e le accogliamo con fede, le viviamo con speranza e le trasformiamo come testimonianza dell’amore.
Don Roberto
Pubblicato il 6 Settembre 2025
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Storie di fede e Riflessioni