Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Kintsugi

Quando un oggetto di valore, un vaso, una ceramica, cade e si rompe frantumandosi in tanti pezzi, non resta che raccogliere i cocci e gettarli nella pattumiera. Più l’oggetto vale e più e acuto il dispiacere. Un oggetto rotto è inservibile.

Pensavo a questa evidente verità riflettendo sugli effetti della pandemia dalla quale pare fatichiamo ad uscire.

Quante cose si sotto rotte con la pandemia: si e rotta la vita sociale, la comunità, si e rotta la frequentazione normale di tanti luoghi e di tante attività, si è rotta la sicurezza della vita e si sono rotti tanti rapporti. Sorge spontanea la domanda: cosa ne faremo dei cocci?

Sembra assodato, perché ne abbiamo molte dimostrazioni, che non è vero che saremo migliori di prima. Siamo come un vaso rotto, siamo come un corpo ferito e inerme di fronte alla sofferenza e al pessimismo.

Eppure, nemmeno di fronte alle rotture più catastrofiche, come cristiani, non possiamo pensare che il futuro non sia buono.

Così scopro il valore metaforico del Kintsugi. Leggo un articolo su una rivista e rimango letteralmente illuminato.

È un’arte giapponese che valorizza le rotture delle ceramiche rendendo ancora più pregevole l’oggetto frantumato. Come?

Il termine giapponese “kintsugi” deriva da “Kin”, che significa letteralmente “oro” e “tsugi”, che sta per “riparazione”. Le crepe vengono ricoperte dall’oro fuso. Per rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto i giapponesi utilizzano un metallo prezioso (di solito oro o argento liquido oppure una lacca di polvere dorata). Quando i cocci si riuniscono vengono fuori alcune nervature che rendono più originale e prezioso l’oggetto.

Cosi le cicatrici, anziché privare l’oggetto del suo valore, gli conferiscono un aspetto unico ed irripetibile.

L’arte del Kintsugi permette di realizzare veri e propri capolavori partendo da un oggetto rotto, che per definizione è imperfetto.

È una tecnica antichissima e raffinata che rende belle le cose rotte.

Da quest`arte giapponese imparo prima di tutto che non devo buttare via niente, nemmeno le esperienze più brutte che vivo, nemmeno ciò che mi sembra inutile ed inservibile. Che non devo temere le cicatrici ma che posso renderle preziose con la Grazia dell’amore e della misericordia.

Imparo soprattutto che nella vita posso sempre recuperare le relazioni rotte o logore e che posso sempre reagire di fronte alle prove ricoprendo le ferite con l`oro fuso del coraggio. Il Kintsugi mi insegna che sono proprio le cicatrici a rendere l’esistenza ancora più preziosa, perché i segni della fragilità, della sofferenza e dell`imperfezione, se curati con il balsamo della speranza, rendono il mio animo ancora più forte.

Don Roberto



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