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Mi fa male il mondo

È soprattutto in macchina che mi piace ascoltare un po’ di musica e generalmente prediligo i cantautori italiani. “Mi fa male il mondo” è il titolo di una canzone di Giorgio Gaber, tratta dall’album del 1995 “E pensare che c’era il pensiero”.

Con la sua immensa produzione teatrale e musicale Gaber è stato uno degli interpreti più lucidi del secondo dopoguerra.

Musicista geniale grazie alla sua acuta ironia, persona gentile, profonda e poeta romantico ed efficace.  Molte sue canzoni sono orecchiabili e molto conosciute, altre, non di minore importanza, sono meno note ma rimangono icone interessanti soprattutto per la capacità di Gaber di analizzare la società e i comportamenti contraddittori degli uomini. Cantautore che sa alternare il tono della denuncia con quello della comicità.

“Mi fa male il mondo” appartiene all’esperienza denominata “canzone teatro” nella quale Gaber si prodiga in bellissimi monologhi intervallati dalle sue memorabili canzoni.

Mi fa male il mondo. Mi fa male più che altro ammettere che siamo tutti uomini normali con l’illusione di partecipare  senza mai capire quanto siamo soli.

È un malessere che abbiamo dentro è l’origine dei nostri disagi un dolore di cui non si muore che piano piano ci rende più tristi e malvagi.

Ma la rabbia che portiamo addosso è la prova che non siamo annientati  da un destino così disumano che non possiamo lasciare ai figli e ai nipoti.

Nel testo di Gaber c’è chiaramente l’eco di Montale con il suo verso “Spesso il male di vivere ho incontrato…” oppure l’Eco di Quasimodo con la sua poesia fulminante: “Ognuno sta solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera”. Oppure ancora l’eco di Soldati di Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.

Sono i poeti, i cantautori, gli artisti che con le loro antenne sanno cogliere le ondulazioni esistenziali dell’umanità e far vibrare le corde delle emozioni e delle passioni.

Il malessere evidenziato da Gaber mi ha commosso e colpito per diverse ragioni.

Prima di tutto per l’emergere dell’inquietudine che colloca l’uomo in un atteggiamento costante di ricerca e di discernimento. E questo non è roba per chi è superficiale e distratto.

C’è però un senso di pessimismo che è l’esito della consapevolezza di quanto possa far male la solitudine. È la percezione del malessere interiore al quale spesso non riusciamo a dare il nome e che rende gli uomini fragili e vulnerabili.

Gaber è anche molto lucido nell’affermare che questa situazione appare come un destino disumano che non può essere l’eredità che lasciamo alla generazione che viene.

Mi fa male il mondo è un nodo alla gola per il male del mondo e nel mondo, un male che è sintomo della sensibilità che gli uomini sanno avere.

In questo senso Gaber continua con versi luminosi:  Mi fa bene comunque credere che la fiducia non sia mai scomparsa e che d’un tratto ci svegli un bel sogno  e rinasca il bisogno di una vita diversa.

Anche se il mondo fa male non possiamo perdere la fiducia in Colui che non ci lascia soli e può generare una vita diversa.

Non credo che Gaber sia credente. Tuttavia mi sembra che alla fine arrivi ad affermare che il pessimismo sia l’epilogo obbligato per l’uomo che si sente solo, privato dalla compagnia della Provvidenza.

Aveva proprio ragione Agostino?: “Il nostro cuore è inquieto Signore, finché non riposa in Te”.

Don Roberto



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