Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Sessanta anni fa ho conosciuto Padre Pio (parte II)

(torna a leggere la parte I)

 

4. Il mio matrimonio

Come per tutti i giovani, dopo la guerra, uno dei primi problemi da risolvere era quello di trovare una sistemazione lavorativa stabile e di questo parlai più volte con lui ed egli ogni volta mi diceva che avrebbe pregato. Ottenuta questa grazia, come già detto, nel 1952, gli chiesi quella di farmi una famiglia e di trovare una ragazza adatta e lui mi disse di pregare e che la donna che avrei scelto “doveva essere seria, religiosa e stare sempre in casa”.

fig4Quando mi sono sposato ero, da circa tre anni, a Dalmine, città in provincia di Bergamo, dove c’era lo stabilimento principale della Società. Era il 21 novembre 1959, festa della Madonna (Presentazione al tempio), e la mia fidanzata era una ragazza del posto di una famiglia numerosa (nove fratelli). La conobbi in chiesa e all’oratorio, ed era insegnante alla scuola elementare parificata di proprietà della società in cui io lavoravo, passata successivamente allo Stato.

Ovviamente avevo parlato, prima a lei e poi alla sua famiglia, di Padre Pio e delle mie esperienze. Per questo motivo il nostro viaggio di nozze, fatto in treno, comprese, oltre la mia città di origine e Roma, anche San Giovanni Rotondo.

Giunti al paese, ci recammo all’albergo S. Maria delle grazie e, dopo la sistemazione nella camera, ci recammo in chiesa per prenotare la benedizione del Padre, cosa che avvenne il giorno dopo al termine della S. Messa delle cinque, cioè verso le dieci. Ci portammo all’altare maggiore della nuova chiesa dove ci raggiunse Padre Pio che ci dette la benedizione e alla fine un affettuoso scappellotto in testa, uno a me e due a mia moglie!

Quando mia moglie aspettava il primo figlio, tornai da solo a San Giovanni R. e chiesi a Padre Pio, oltre alla sua protezione, quale nome mettere ed egli mi rispose:

Innanzi tutto il nome dei genitori”. La figlia, primogenita la chiamammo Laura, il nome di mia madre, e il secondo Pierluigi, con i nomi di mio padre e del padre di mia moglie, e così fu accontentato Padre Pio!

Successivamente, io e mia moglie, ritornammo nel 1964 quando avevamo già due figli. Questa volta a San Giovanni R. andammo con l’auto che avevo acquistato l’anno precedente, era una Fiat 850.

Partimmo da Viareggio, dove eravamo in vacanza, era estate e portammo con noi Laura che aveva tre anni e lasciammo a mia madre, che aveva 65 anni, Pierluigi che aveva appena un anno. Io allora ne avevo 40.

Percorremmo l’autostrada del sole fino a Napoli, quindi uscimmo per andare a Foggia attraversando l’Appennino e utilizzando le strade statali in quanto non c’era ancora l’autostrada. Passammo da Ariano Irpino e mia moglie mi faceva da “navigatore” leggendo la carta stradale.

Finalmente arrivammo la sera tarda a San Giovanni e prendemmo alloggio all’albergo San Michele.

All’indomani portammo alla Messa del Padre, sempre alle cinque di mattina, anche nostra figlia un poco assonnata e dopo,finita la Messa, quando Padre Pio era in sacrestia, portai anche lei a prendere la benedizione con altri pellegrini maschi.

La bambina aveva i calzoncini corti ed era pettinata come un maschietto, perciò era passata inosservata fino a quando un frate se ne accorse e mi pregò di uscire in quanto il luogo era “Clausura” e pertanto vietato alle donne. Ormai la benedizione l’avevamo presa!

In questa occasione ottenni, direttamente dal Padre, anche la benedizione della macchina che avevo portato sul piazzale laterale del convento, e di questo fatto conservo ancora le foto.

Nell’attesa della confessione andammo a visitare il santuario dedicato a San Michele arcangelo posto sullo sperone garganico verso l’Adriatico a pochi chilometri da San Giovanni R.  Scendemmo nella grotta assieme a Laura, accendemmo delle candele e  recitammo preghiere.

Due giorni dopo, io ero riuscito a confessarmi, mentre mia moglie no a causa delle tante donne presenti. Decidemmo di partire comunque per Viareggio passando questa volta per l’Adriatica per fermarci a Loreto. Per questo motivo, prendemmo la strada che va a San Marco in Lamis e che passa al di sotto del convento in corrispondenza del quale io e mia moglie abbiamo salutato il Padre dicendogli di accompagnarci. Immediatamente, io e lei sentimmo un profumo come risposta, fummo entusiasti e contenti, ma nessuno disse all’altro che tipo di profumo avesse sentito. Dopo quasi quarant’anni, parlando di questo episodio ci siamo accorti che avevamo sentito odori differenti: io profumo di rose e mia moglie di acido fenico.

Infatti per mia moglie il viaggio non fu buono, ebbe mal d’auto e ci dovemmo fermare varie volte.  L’autostrada non c’era ancora e facemmo la Cassia, strada statale, fino a Porto Recanati dove alloggiammo in albergo per la notte.

La strada era molto trafficata anche con automezzi pesanti ed aveva molte curve.

La bambina non ebbe nessuna conseguenza per il viaggio anche perché distesa nei posti posteriori aveva sonnecchiato. La mattina andammo a Loreto, pochi chilometri all’interno su un colle, e visitammo il santuario ascoltando la S. Messa e ricevendo la comunione.  Dopo aver fatto colazione, riprendemmo la strada di casa, passando per Bologna, Firenze raggiungendo Viareggio con l’autostrada.

A San Giovanni abbiamo fatto molte amicizie continuate nel tempo tra cui la stessa Fiorellini che ricordiamo sempre sia per la sua ospitalità sia per la sua disponibilità a tenere una corrispondenza. Ricordo i molti ciclamini che aveva nel giardino e che abbiamo sempre tenuto come segno della vicinanza del Padre ogni volta che li abbiamo ritrovati. Un’altra persona che ricordiamo con nostalgia è la signora Carla Corsini, bergamasca che lavorava nella cartoleria di Abresh. Altra carissima amica, con la quale trattenevamo rapporti epistolari, è Suor Paolina Ribolla, anche lei originaria di Gazzaniga che conoscemmo quando venne aperto l’ospedale e le suore del suo ordine, “le Apostole del Sacro Cuore di Gesù”, vennero chiamate a prestare servizio di assistenza e di gestione.

Tra i frati del convento ricordo, oltre Padre Vincenzo, anche Padre Giustino che era incaricato ad assistere padre Pio e, come mi disse lui stesso, si alzava prima di lui per aiutarlo a vestirsi (pare alle tre). Quando venni assunto alla “Dalmine” di Massa, il 1° Aprile del 1952 ringraziai il Padre per la sua assistenza datami. A fine anno 1953 venni, per ragioni di lavoro, trasferito alla sede di Milano, in via Brera e qui feci amicizia con gli ingegneri Giorgio Ottolenghi e Pietro Baschieri con i quali sono stato più volte dal Padre. Successivamente ebbero ambedue una figlia alle quali dettero i nomi di Maria Pia e di Maria Grazia. Tutti e due prima di andare a San Giovanni R. non volevano avere più figli per episodi spiacevoli accaduti loro dopo il matrimonio.

Nel 1956, con la San Vincenzo aziendale organizzammo assieme alla OIPP, opera pellegrinaggi Paolini, il primo pellegrinaggio aziendale a Lourdes. Prima della partenza del treno nel giugno, io andai dal Padre per chiedergli la sua benedizione.

Tutto andò benissimo, portammo alla Grotta dell’apparizione più di seicento pellegrini tra dipendenti e famigliari. La stessa cosa feci per tutti i pellegrinaggi successivi fino a che sono stato dipendente della “Dalmine” che lasciai alla fine del 1984.

 

5. I gruppi di preghiera

Nell’estate dello stesso anno venni trasferito a Dalmine dove conobbi la signora Marisa Calvi e suo marito Aldo, anche loro figli spirituali di Padre Pio, con i quali, nel 1959, dopo il mio matrimonio, abbiamo costituito il Gruppo di preghiera intitolato al Padre. Quest’anno abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversario di vita di questo gruppo, vita molto attiva per merito della signora Marisa. I festeggiamenti sono stati ampiamente documentati sul giornalino della “Casa sollievo della sofferenza” organo ufficiale dei Gruppi.

Alla costituzione del nostro gruppo partecipò Padre Attanasio del convento di San Giovanni su delega di Padre Pio. I Gruppi di preghiera costituitisi in tutta Italia e anche all’estero sono stati voluti dal Padre perché i suoi figli spirituali si sostenessero a vicenda con la preghiera, crescessero nella fede e per il bene della Chiesa tutta.

A San Giovanni Rotondo sono ritornato molte volte sia con il Gruppo di Bergamo guidato dai coniugi Rinaldi e dal Dr. De Marchi sia con il mio amico Giambattista di Cologne e il gruppo di Terni di don Giuseppe De Santis, anch’egli figlio spirituale del Padre, oppure da solo o con i miei figli in auto.

A San Giovanni R. si diceva che non tutti nell’incontro con il Padre facevano la stessa esperienza in quanto la sua personalità spirituale veniva percepita in modo diverso da caso a caso.

 

6. La morte di Padre Pio

La morte del Padre avvenne la notte del 23 settembre del 1968.

Io mi trovavo con la famiglia  a Viareggio, ancora in vacanza, ma in partenza per rientrare a Dalmine a causa dell’inizio della scuola che interessava sia la figlia che mia moglie insegnante; allora la scuola cominciava più tardi. La mattina del 23 settembre mi sono recato in via Marco Polo per salutare la sorella di mia madre, Sestilia, e sentii che la radio trasmetteva la notizia della morte di Padre Pio. La cosa mi colpì molto, anche se sapevo che era molto malato, e decisi subito di andare a

San Giovanni R., ma prima riportai a Dalmine la moglie e i figli che avevano allora sette e cinque anni.  Mia madre restò a Viareggio.

Arrivammo a Dalmine nelle primissime ore del pomeriggio. Mentre si scaricava la macchina, arrivarono le prime telefonate degli amici comuni che, avendo saputo la notizia, desideravano partecipare il loro dolore e alcuni mi proposero di partire subito per San Giovanni.

Tra questi ci fu un operaio elettricista che lavorava in Dalmine e inoltre Giambattista Guarienti di Cologne. Con loro concordammo di partire subito, anche se era sera inoltrata, con la mia macchina, una Fiat 124, che era la più comoda tra quelle disponibili.

Viaggiammo tutta la notte, alternandoci alla guida, e alle tre del mattino arrivammo al convento.

Parcheggiammo la macchina ed entrammo nella chiesa che era aperta e illuminata.

La salma di Padre Pio era esposta nel centro, in mezzo al corridoio, già nella cassa ma senza il coperchio.  La chiesa era gremita e una fila di persone partendo dal fondo passava davanti alla bara per un ultimo saluto.

Anche noi ci mettemmo in fila e passammo davanti alla bara tre o quattro volte perché la gente era ancora relativamente poca, ma stavano arrivando pellegrini in continuazione. Infatti alla mattina vennero messe delle transenne che dalla porta centrale si estendevano sul piazzale, per ordinare l’affluenza.

Noi tre, passate un paio d’ore, decidemmo di andare a cercare un posto per dormire, anche perché eravamo abbastanza stanchi.

Trovammo alloggio all’albergo S. Maria delle Grazie, vicino al convento dei cappuccini. Ci dettero un posto in mansarda, dove già c’erano altri che dormivano su materassi distesi a terra con una coperta di lana per coprirsi.

Stimai che dovevano esserci una dozzina di persone. Naturalmente dormimmo poche ore e poi ci ritrovammo sul piazzale della chiesa che nel frattempo si era riempita di gente proveniente da tutte le parti d’Italia. C’erano migliaia di persone.

La fila di pellegrini che volevano vedere il Padre per l’ultima volta si era allungata fin oltre il piazzale e ci volevano alcune ore per arrivare alla salma.

salma padre pio

In questa occasione incontrammo Marisa e Aldo Calvi che erano arrivati la sera prima, perché erano partiti prima di noi. Ci trovammo anche con l’amico Giorgio Ottolenghi che era arrivato con il treno da Piombino dove era in trasferta per lavoro.

Gli amici e i figli spirituali di Padre Pio continuarono ad arrivare per tre giorni riempiendo strade e piazzali. Tutti in attesa del funerale. Ricordo di aver visto il Prof. Enrico Medi sul piazzale laterale esterno del convento intento ad osservare un simpatico fenomeno: sulla reticella della finestra della cella del Padre appariva un’ombra con il profilo che assomigliava al Padre. Il professore, come altra gente, osservava questa cosa con curiosità ma anche compiaciuto perché lo riteneva un segno di riconoscenza da parte del Padre per rispondere all’affetto dei suoi amici arrivati da ogni parte.

Il terzo giorno ci furono i funerali. C’erano almeno centomila persone.

L’atmosfera tra la folla era cambiata, l’aria di tristezza e dolore che si leggeva sul volto della gente nei primi giorni si trasformò in gioia e il funerale fu un trionfo.

Forse perché la gente percepiva che il Padre aveva già raggiunto il suo amato Gesù.

Dalla chiesa la bara venne collocata su un automezzo fermo sul piazzale con il pianale aperto e addobbato in modo che fosse vista da tutti. La bara venne portata dalla chiesa all’automezzo a spalle da alcuni uomini. Tra questi ci fu anche il nostro amico Giambattista Guarienti e noi ne fummo contenti!

Durante la sfilata del mezzo preceduto dal clero e dai cappuccini lungo il viale che dalla chiesa va al paese, la bara passò fra un folto numero di persone ferme ai lati. Le bande musicali suonavano una musica non funebre e sopra nel cielo volavano i caccia del vicino aeroporto di Gioia del Colle. La giornata era piena di sole.

Finito il funerale, alla sera decidemmo di partire per tornare a casa. Ottolenghi ci chiese di accompagnarlo a Napoli per prendere il treno e ritornare a Piombino.

Non c’era ancora l’autostrada che unisce Foggia a Napoli.  Facemmo la strada statale e arrivammo a Napoli a notte fonda.

Sceso Ottolenghi alla stazione ferroviaria, andammo a prendere l’autostrada per Roma, ma eravamo stanchi e per prudenza ci fermammo in una piazzola per dormire in macchina.  All’alba riprendemmo il viaggio sempre alternandoci alla guida. Arrivati a Roma, decidemmo di fare una deviazione per Collevalenza e di andare da Madre Speranza, la suora nata in Spagna, ma ormai residente da tempo in Italia e che portava le stimmate come Padre Pio. Per questo uscimmo a Orvieto e andammo verso Todi, vicino c’è Collevalenza dove la suora ha fondato le “Ancelle e i figli dell’Amore Misericordioso” ed ha costruito un santuario meta di pellegrinaggi.

Al tempo della nostra visita arrivavano circa trecento pellegrini al giorno. La suora è morta l’otto febbraio 1983 ed è in corso il Processo di canonizzazione aperto il 2002.

Di questa suora mi aveva parlato a Dalmine la signora Landini, nostra amica e originaria della zona di Montelupo Fiorentino, che ci diceva di essere andata a chiedere preghiere per una sua sorella ammalata.

Noi abbiamo incontrato Madre Speranza e le abbiamo detto che tornavamo dal funerale di Padre Pio, lei ci ha sorriso e ci ha promesso di pregare per le nostre famiglie.

Dopo aver visitato il Santuario ed esserci rifocillati, riprendemmo la strada di casa.

Io nel tempo sono ritornato ancora due volte a Collevalenza, partendo da Viareggio dove ero in vacanza e portando mia moglie e mio figlio Pierluigi, per il quale la madre ci disse: “Dategli da mangiare!” Infatti era un bambino molto magro.

Passammo per Firenze e proseguimmo per Bologna e dopo, dove l’autostrada del sole (A/1) si unisce a quella che proviene dall’Adriatica (A/14) accadde un fatto sorprendente! Ci incontrammo con Aldo e Marisa Calvi. Loro arrivavano dall’A/14 ed erano partiti la mattina facendo l’autostrada Adriatica.  Fatto del tutto imprevedibile: bastavano pochi secondi e non ci saremmo visti! Fu per noi una combinazione voluta dal Padre (il Padre diceva “Ma chi combina le combinazioni?”).

Ci fermammo per salutarci e riprendemmo, ognuno per conto proprio, la strada verso casa. Noi uscimmo dall’autostrada a Piacenza nord per fare la “Cremasca” da Codogno per Crema e poi per Treviglio.

Arrivati a Pianengo, dopo Crema, faceva già buio, ci fermammo sul lato destro dove c’era un largo spazio per cambiare la guida.  I fari, già accesi, illuminavano una grande vetrata di un’officina davanti sul lato sinistro. Su questi vetri opachi, all’improvviso, apparve il profilo di Padre Pio!

Restammo fermi e impressionati, non sapevamo cosa fare. Ci mettemmo a pregare. Dopo un quarto d’ora, dopo esserci ripresi dall’emozione, riprendemmo la strada di casa. Sapemmo poi che questi fatti si verificarono anche ad altri. Prendemmo questo fatto come riprova che il Padre ci aveva accompagnato nel viaggio di ritorno.

Nel tempo sono ripassato per Pianengo, ma quel fatto non si è più ripetuto.

Arrivammo a casa verso le nove di sera.

 

7. Altri ricordi

Padre Pio mi ha insegnato con l’esempio ad essere confidente con il Signore e di sentirLo come amico e non come giudice.

Il Padre era molto esigente nel pretendere che chi si confessava fosse veramente pentito delle sue colpe e deciso a non ripetere il peccato e per questo il rifiuto dell’assoluzione avveniva quando lui “vedeva” che le condizioni non erano rispettate.

Ugualmente egli voleva che le donne fossero decentemente vestite quando si avvicinavano ai sacramenti: comunione e penitenza, pena il rifiuto della somministrazione.

Ricordo che già prima della moda della “Minigonna”, egli pretendeva che le donne vestissero gonne al di sotto del ginocchio e molte sono state allontanate dai sacramenti:  preavvertiva l’avvento di una moda a dir poco indecente!

A mia moglie successe un fatto strano: quando si avvicinò per la comunione si trovò l’orlo della gonna interamente scucito, eppure la sua arrivava, anche se leggermente, al di sotto del ginocchio ed era nuova! Abbiamo vissuto questo fatto come un’esortazione a non seguire questa moda sfacciata e degradante per la dignità femminile.

Si diceva che Padre Pio fosse burbero e chiuso, questo non è stato sempre vero, svolgeva sì con serietà e precisione il suo ministero, ma nei momenti di relax e quando incontrava gli uomini in sacrestia o nei corridoi, sapeva essere accogliente e anche faceto. A volte faceva anche battute e sorrideva quando queste le facevano i pellegrini.

Ricordo una volta, eravamo in sacrestia, e, dopo aver tolto i paramenti e rimesso i mezzi guanti per coprire le stimmate (questi li toglieva sempre quando celebrava),

rivolgendosi a Carlo Campanini, figlio spirituale molto presente a San Giovanni, disse: “Eh’ quando c’è da salire al ciel, si fa fatica!

Infatti nel canto alla Madonna “Al ciel, al ciel andrò a vederla un dì …” fatto alla fine del rito della benedizione pomeridiana, l’attore aveva steccato! Un’altra volta, c’erano nella sacrestia della chiesa vecchia diversi uomini; era presente anche il Vescovo di Troia, il Padre, rispondendo ad uno dei presenti, raccontò un aforisma della scuola medica salernitana. Un malato che si trova tra due medici è peggio di un gatto tra due cani!” La cosa ci fece ridere e lui pure sorrideva.

Anche in confessione era molto dolce e faceva passare quella “paura” iniziale che era più un timore che si aveva quando ci si avvicinava al confessionale, specialmente dopo una lunga attesa.

A proposito di reincarnazione…

Una mia carissima amica credeva nella metempsicosi, cioè nella reincarnazione dopo la morte per altre vite; quando nel 1958 andai a San Giovanni R., dopo la confessione chiesi al Padre cosa dovevo dire ed egli mi rispose “Dille che è un’eresia!

 

8. Il padre è vicino a noi

In questi giorni in cui termino questa mia testimonianza, ricordo di aver partecipato nel 1982, in sostituzione della signora Marisa Calvi,  impedita per lavoro, ad un incontro dei Gruppi di preghiera della Lombardia, che quell’anno si tenne a Milano, vicino a piazza S. Babila. L’incontro era presieduto da Mons. Riccardo Ruotolo.

Al termine, accompagnai il Monsignore, oggi Vescovo, con la mia macchina all’aeroporto di Linate per il suo ritorno a Roma. Mons. Ruotolo era a quel tempo presidente dell’Opera di Padre Pio e coordinatore dei Gruppi di preghiera. Lungo il viaggio parlammo del nostro gruppo di Dalmine.

Il giorno dopo era domenica, mi recai dalla signora Marisa nel suo negozio aperto in occasione della vigilia di S. Lucia, festa molto sentita nella Bergamasca, per riferire dell’incontro. Purtroppo in quell’occasione seppi dell’avvenuta morte di suo marito Aldo. Era il 12 dicembre 1982.

Il fatto mi colpì molto perché eravamo legati da un’amicizia vera, consolidata dalle esperienze comuni con Padre Pio.

La mia esperienza con il Padre non è finita con la sua morte, il suo ricordo e la sua presenza sono costanti nella mia vita e anche nella mia famiglia. Ormai Lui è uno di noi, anche se dopo, ho conosciuto altre persone, con carismi diversi, che mi sono state utili nelle difficoltà della vita e nell’arricchimento spirituale e di tutto ciò ringrazio e sono riconoscente al Signore, unico artefice della Sua Provvidenza.

 Leandro Carboncini

21 novembre 2009

50° anniversario del mio matrimonio

 

 

 



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