Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Pasqua 2014 – Riflessione di Don Tonino Bello

Entriamo nell’adorazione con le parole di Don Tonino Bello.
Abbiamo la disponibilità a lasciarci afferrare dall’inedito di Dio?
Anzitutto, scrutare la presenza di Dio, origliando la sua imprevedibilità, e bruciando dal desiderio di fissare gli occhi su di lui: il tuo volto, Signore, io cerco. Fammi scorgere il tuo volto.

In secondo luogo, vivere questa esperienza insieme con gli altri. Quasi per evitare il sospetto che, vissuta in solitudine, possa scadere nell’intimismo, o incagliarsi nelle secche dell’astrattezza, o, peggio, favorire la fuga dalla realtà.

E’ possibile parlare agli altri del Verbo di Dio se prima non lo abbiamo “contemplato” ?
Non c’è da illudersi.
Solo quando avremo le pupille abbacinate per l’attesa che Dio si riveli, e ci rimarranno dilatate perché al suo apparire avremo fatto il pieno della luce, solo allora potremo parlare di lui.
E solo quando avremo gustato nel silenzio sapori che nessun libro ci ha dato, e saremo stati folgorati da illuminazioni interiori a cui nessun maestro ci ha introdotti, solo allora quelli che daremo al mondo saranno veramente lieti annunci.
E solo quando lo avremo implorato con abbandono, e non giudicheremo le lacrime segno di debolezza, e la nostra preghiera assumerà cadenze di gratuità privilegiando la lode, solo allora allontaneremo il sospetto che, più che servirlo, ci si voglia servire di Dio.
E quando le vertigini della bellezza le avremo gioiosamente provate stringendo la mano dei fratelli per non precipitare, solo allora le nostre parole faranno venire agli altri il capogiro.
Chi contempla Gesù, senza rincorrere suggestioni di fuga dal mondo, senza accarezzare evasioni dal terribile quotidiano, senza rinchiudersi a giocare il solitario di una spiritualità narcisista, ma anzi lasciandosi trascinare da una incontenibile voglia di annunciare il Regno, diventa necessariamente “contemplativo”.
Avete sentito bene: “contemplativo”, con la consonante raddoppiata.
Si, perché l’urto del contatto esperienziale con Gesù provoca prima o poi uno squarcio nella nostra vita.
Preghiera e azione, cioè, si coniugheranno a tal punto in voi e faranno tanta sintesi armonica, che la nostra vita sarà la dimostrazione vivente di come amare Dio non significa diffidare dal mondo. E gli farete compagnia.
Un’altra cosa voglio dirvi: contemplare non è facile.
E’ come ingaggiare una lotta con Dio.
Vi ricordate quella notte trascorsa da Giacobbe nella estenuante e misteriosa battaglia, che si risolse solo all’alba, e lo lasciò claudicante per sempre? Ecco, contemplare significa in un certo senso combattere con Dio. Di notte. In uno sconvolgente “a tu per tu”.
Quasi per strappargli il segreto della felicità. Quella felicità che inseguiamo tutta una vita.
Vi auguro, allora, che vi lasciate sedurre da questa voglia di lottare con Dio.
E che all’alba, dopo la battaglia notturna, vi ritroviate con le ossa rotte.
Come Giacobbe, appunto.



in Comunità in rete, Quaresima e Pasqua 2014