Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Il Cristo che sorride

Sull’isola di Lèrins in Francia c’è uno dei simboli più splendidi che racchiude tutti i miei trent’anni di sacerdozio e non solo. È il volto del Cristo che sorride. Quando l’ho potuto contemplare la prima volta è come iniziato un lungo e profondo dialogo con il Maestro e Signore della mia vita. Quel sorriso è come un cenno di complicità, di intesa, un accoglienza senza riserve. Io sono con te per sempre fino alla fine del mondo. Quel sorriso ha più volte colmato i vuoti causati dai miei limiti e dalle mie inadempienze. Quel sorriso ha sostenuto e rinvigorito le mie stanchezza e ha consolato le mie solitudini.

Più volte sono ritornato per lasciarmi ammansire da quel volto ed ogni giorno mi porto dentro questa immagine. Dopo tanti anni mi ritrovo a ripetere la medesima affermazione: Quel sorriso è la mia vocazione, la mia scuola e il mio progetto.

È la mia vocazione perché mai Gesù mi ha lasciato indifferente, mai mi ha stancato, mai ha esaurito il suo fascino.

È la mia scuola perché Gesù sorride mentre muore, mentre sta donando la sua vita per me, per salvarmi. Ho imparato così che senza amore non si salva nessuno. E non mi fa più paura la necessità di sacrificarmi, di donarmi. Mi fa invece paura il doverlo fare senza sorriso.

Quel sorriso è il mio progetto perché voglio continuare a sperimentare la forza prodigiosa che scaturisce da un sì pronunciato con amore, nella libertà e nella gioia.

Trent’anni di sacerdozio sono tanti. Più della metà della mia vita.

Si sono incrociati in me diversi stili e diverse espressioni.

Ci sono stati giorni solenni, solari e maestosi come un mosaico bizantino.

Ci sono stati giorni bui con poca luce e con la poderosa pesantezza delle pietre come una chiesa romanica e giorni di luce e di colore, di slancio e di innalzamento come una cattedrale gotica. Ho avuto giorni di apparenza, di fronzoli e di giri a vuoto come un palazzo barocco.

Ho dipinto tele di sangue, di burrasche e di muscoli come Caravaggio e tele di silenzio e di nostalgia come Van Gogh.

Tele di dolcezza e di stupore come Arcabas, tele di sofferenza e di pianto come Bacon e tele di amori e di poesia come Chagall.

 

In queste occasioni la domanda che viene posta con più frequenza è ti sei mai pentito di essere prete? Sinceramente no. Anzi devo ammettere che mi sento costantemente e immeritatamente al centro di un carosello di affetti tale che ogni sera mi dico, senza retorica, di essere davvero contento di ciò che il Signore mi fa vivere. Certo ho anche tante sofferenze, tanti dispiaceri e tante preoccupazioni ma tutto alla fine è uno stimolo nuovo ad essere sempre più fedele e autentico.

Mi rimarrebbero da scrivere tre capitoli. Il capitolo della gratitudine, quello delle scuse e quello dei propositi. Ma non lo faccio perché tutti e tre prevedono elenchi interminabili. Dunque giungo all’epilogo: per quello che sono stato, per ciò che sono e per ciò che sarò: Amen. Alleluia.

Don Roberto

 



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