Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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Il cimitero delle utopie

Il termine “utopia” mi ha sempre molto intrigato. È un termine che viene plasmato in lingua greca e più o meno significa: “luogo che non esiste”. È un termine che lungo la storia si sviluppa in particolare nella riflessione politica e sociale. In particolare c’è un autore, san Tommaso Moro, che nel 1516 pubblica il romanzo intitolato “Utopia”. Il romanzo fantastico si ambienta su un’isola, chiamata appunto Utopia, che fu conquistata da Utopo che le diede il nome. L’isola comprende 54 città collocate tutte alla stessa distanza tra loro e sono uguali tra loro per lingua, usanze, istituzioni e leggi. Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi privilegi. Non esiste proprietà privata e tutto viene messo in comune. Sull’isola non esistono le due opposte minacce che solitamente inquinano la vita degli uomini: il lusso e la miseria.

Tutti gli abitanti hanno la medesima occupazione: l’agricoltura, per la quale vengono educati sin da piccoli. Nel tempo libero ognuno si dedica allo studio per non essere sopraffatto dalla pigrizia. Nell’isola viene detestata non solo la guerra, ma l’idea stessa di guerra. Tutti sono devoti alla divinità a cui si attribuisce l’origine e la fine di tutte le cose. Tutti sono radicalmente tolleranti verso le altre religioni: chi non lo è viene punito con l’esilio o la schiavitù.

Il romanzo di Tommaso Moro è frutto della fantasia, come ogni romanzo. Leggendolo tuttavia, viene da dire: è così dovrebbe essere! che bello se fosse davvero così!

Ma Utopia purtroppo è un’isola che non c’è.

L’utopia è un sogno che non può essere realizzato e tuttavia può essere un ideale, un modello verso cui tendere. Il cimitero delle utopie è pieno di progetti sepolti.

In questi giorni nei quali quasi ogni ambito della vita sta per riaprire dopo il Covid ci stiamo rendendo conto che da ogni parte tutti spingono per tornare come prima. Durante i mesi del Covid sentivamo dire: nulla sarà più come prima. Quante volte abbiamo sentito questa frase?! E prendeva corpo l’utopia di un mondo migliore, più calmo e concentrato sull’essenziale.

Questa chimera ora riposa nel cimitero delle utopie, perché abbiamo ripreso con la stessa frenesia e la stessa distrazione di prima, se non peggio.

Abbiamo avvertito tutti la necessità di essere più rispettosi del creato, del bene comune, degli altri. Anche questa è un’utopia finita al cimitero visti i reiterati gesti di maleducazione e di inciviltà che caratterizzano di nuovo i comportamenti di molti. Anche la scuola da settembre reinserirà di nuovo la materia dell’educazione civica, per formare le nuove generazioni alla cittadinanza attiva e responsabile. Meno male.

Nel tempo del Covid abbiamo cullato l’illusione di una società più giusta e solidale. Anche questa è un’utopia sepolta nel cimitero: i poveri infatti sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.

Sempre nei giorni del Covid ho osato pensare che la fede dei cristiani potesse rinforzarsi e che la partecipazione alla Messa potesse diventare concreta necessità per i fedeli. Un’utopia da seppellire anche questa?

Non voglio dare l’impressione di essere tragicamente deluso. Vorrei invece affermare che se la società ideale è “un’isola che non c’è”, non per questo deve morire l’impegno di ogni uomo e donna di buona volontà per tentare di migliorare la realtà attuale partendo da ciò che dipende da ciascuno. I cristiani ovviamente non si nutrono di utopie, ma di speranza. E la speranza non è solo attendere di entrare nella perfezione e nella pienezza della vita dell’eternità. La speranza cristiana non è un pia illusione, non è un’utopia, è invece credere che il futuro sarà buono perché il Signore è sempre all’opera, è una virtù che “ti porta avanti” ma che ti tiene i piedi ben piantati nell’oggi.

Don Roberto

 



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