Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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L’alfabeto della Parrocchia 2: T come TURIBOLO

È da sempre l’oggetto del contendere tra i chierichetti che a volte si azzuffano per accaparrarsi lo strumento del potere. Tra i chierichetti veterani il turibolo è il segno che conferma l’abilità di chi serve la messa con più esperienza.

Turibolo è una parola che deriva dal latino tus, turis che vuol proprio dire incenso. Il turibolo è il contenitore del carbone che brucia e sul quale viene deposto l’incenso profumato che si espande nella liturgia.

L’incenso ha origini antichissime: nella Bibbia molte sono le citazioni del suo uso liturgico. Il fumo emanato dall’incenso bruciato salendo verso il cielo simboleggiava la preghiera e il raccoglimento del popolo di Dio, come afferma il salmo 140: Come incenso salga a te la mia preghiera.

L’incenso è una resina oleosa estratta da una pianta tipica del Medio Oriente. Nella tradizione cristiana l’incenso viene donato dai Re magi a Gesù bambino nella grotta di Betlemme.

A sottolineare la preziosità dell’incenso sappiamo che la via commerciale più importante, che collegava la penisola arabica al Mediterraneo, venne chiamata la Via dell’Incenso. Numerosi sono i benefici arrecati all’uomo dall’uso dell’incenso. Ma ciò che interessa più a noi è l’uso dell’incenso nella liturgia, quando agitando il turibolo si riempie di profumo la stanza liturgica. Molteplici sono i momenti in cui si usa il turibolo: durante la processione d’ingresso all’inizio della Messa per incensare l’altare e la croce, alla proclamazione del Vangelo, al momento dell’offertorio per incensare il pane, il vino e le offerte, per incensare il popolo santo di Dio, l’Eucarestia, le immagini sacre, il feretro nella parte finale delle esequie…

Nella liturgia si offre insomma l’incenso a tutte le realtà in cui si riconosce la presenza di Dio, proprio come hanno fatto i Re Magi come testimonianza di adorazione alla sua divinità, perché Gesù è Dio.

Ai bambini si racconta questa storia il cui significato ci fa pensare al sacrificio di Cristo in croce e anche al valore dell’offerta della nostra preghiera.

C’era una volta un antichissimo albero la cui resina veniva prelevata e poi trasformata, attraverso particolari processi di lavorazione, in chicchi d’incenso molto pregiato. Tra tutti  i chicchi ve ne era uno, particolarmente profumato, che si trovava in una bustina, con altri chicchi d’incenso come lui, in un negozio di articoli religiosi. Ogni mattina il chicco d’incenso faceva le sue preghiere in cui volgeva il primo pensiero al Signore affidandogli la sua vita e quella dei suoi compagni. Un giorno accadde che, mentre il chicco d’incenso faceva le sue solite preghiere, la bustina in cui si trovava fu prelevata dallo scaffale e venduta ad un sacerdote. Il chicco d’incenso pensò che stava per avvicinarsi il suo momento. Durante un’adorazione eucaristica l’incenso fu utilizzato dal sacerdote per essere bruciato, ma non toccò ancora a lui. Molti altri chicchi avevano paura, vedendo ciò che accadeva. Il nostro chicco invece non aveva paura: i chicchi d’incenso più anziani gli avevano sempre insegnato che diventare “incenso che brucia” è il momento più importante per la vita di un chicco d’incenso. Così, dopo un po’, anche il nostro chicco d’incenso fu prelevato dalla navetta e posto nel turibolo: avvertì all’inizio un grande calore e piano piano si sentì trasformare; sperimento che quel momento non è la fine di tutto. Il chicco d’incenso si trasformò in fumo profumato e iniziò a volare e ad espandersi nell’aria. Anche prima, nelle sue consuete preghiere, il chicco d’incenso aveva provato lo stesso senso di libertà ed ora, ancora una volta, stava affidando la sua vita a Dio.

Anche la mia vita Signore salga a Te come incenso a Te gradito.

Don Roberto



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