Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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L’alfabeto della Parrocchia 2: R come RISPETTO UMANO

Cosa diranno gli altri? Il rispetto umano è considerare così importante il parere degli altri da non essere liberi di esprimere serenamente le proprie convinzioni ed essere dipendente dalla convenienza.

Dal punto di vista della nostra fede cristiana è triste vedere i discepoli di Gesù estremamente attenti a cosa fanno e dicono gli altri per risultare graditi alle persone che hanno davanti. È triste vedere i cristiani che evitano meticolosamente ogni elemento per non passare come antipatici, retrogradi o scomodi. Il problema in fondo è che, mentre stanno attenti al giudizio degli uomini, mettono bellamente da parte il giudizio del Signore e quindi lo sforzo di essere graditi a Lui e a Lui solo. Gesù nel Vangelo ha invece affermato che l’essere controcorrente è addirittura un sintomo, un termometro sicuro per sapere che stiamo agendo per Lui.

Possiamo dunque affermare che quando non riusciamo a manifestare la nostra fede pubblicamente per paura di perdere la stima delle persone noi non ubbidiamo al primo dei Comandamenti.

Non avere altri dei e amare unicamente il Signore per servirlo con tutto il nostro cuore significa disporsi ad affrontare anche le sofferenze, le beffe, le derisioni ed anche le persecuzioni.

La vergogna del rispetto umano nasce quando le nostre convinzioni di fede non sono sufficientemente radicate nella verità del Vangelo.

Speriamo che non ci succeda quanto Gesù ha detto: Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi.

Dovremmo invece, insieme a san Paolo, poter affermare in ogni luogo e in ogni situazione, “Io non mi vergogno del Vangelo”. Dovunque, in casa o fuori, negli uffici e nelle scuole, tra gli amici e tra coloro che non conosciamo, possiamo ricordare ciò che diceva sant’Agostino: “Piccola cosa è avere Gesù nel cuore, quando si ha vergogna di confessarlo apertamente”.

Molti cristiani si vergognano di farsi il segno della croce, di pregare prima dei pasti, al mattino e alla sera. Molti si vergognano di entrare in una chiesa, di fermarsi davanti ad una cappella o ad un’edicola sacra. Si vergognano di confessarsi, di andare a messa, di ricevere la Comunione. Si vergognano di riprendere chi bestemmia, di difendere la propria fede. Si vergognano in fondo di essere cristiani.

È vero che anche san Pietro per ben tre volte si è vergognato di essere discepolo e amico di Gesù e per paura delle conseguenze ha rinnegato il suo Maestro e Signore. Ma poi si è ravveduto e con entusiasmo ha dato tutta la sua vita per testimoniare il Risorto.

A noi oggi non viene chiesta la vita, nessuno ci ucciderebbe se testimoniamo liberamente e per amore la nostra fede. Tuttavia la fatica che siamo chiamati a sopportare è di vincere il rispetto umano, la derisione e l’indifferenza che ci circondano quando le occasioni della vita ci richiedono di manifestare da che parte stiamo.

A proposito di pregare in pubblico si racconta di un contadino che, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pranzava di solito anche il fior fiore della città.

Il contadino trovò posto in un tavolo a cui sedevano già altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere. Quando l’ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera.

I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia, un giovane gli chiese: “A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?”.

Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare, rispose: “No, anche da noi c’è qualcuno che non prega”.

Il giovane ghignò: “Ah, si? Chi è che non prega?”.

“Beh”, proseguì il contadino, “per esempio le mie mucche, il mio asino e i miei maiali…”.

Don Roberto

 



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