Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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IL SETTIMO COMANDAMENTO: «Non rubare»

Ci sono cose che rimangono indelebilmente scolpite nella nostra mente anche a distanza di moltissimi anni. Avrò avuto otto o nove anni e arrivò in parrocchia un sacerdote missionario in Africa per la giornata missionaria. Aveva una barba lunghissima e una voce potente come un trombone. Ricordo come fosse oggi quando durante la predica disse queste parole: se uno ha due cappotti nel guardaroba della sua camera, uno l’ha rubato, perché vuol dire che c’è qualcuno che non ne ha nemmeno uno.

Quell’episodio mi ha accompagnato per tutta la vita, con un sentimento di inquietudine pensando alle nostre case intasata da molte cose superflue. Quel missionario si sarà sicuramente ispirato ad una affermazione di Gandhi, vero campione di santità, anche se non appartiene al cristianesimo, eroe della giustizia, della pace e della non violenza. Gandhi dice: “Chiunque abbia qualcosa che non usa, è un ladro.”

Secondo il catechismo il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata.

La terra, prosegue il catechismo, è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata dalla violenza. L’appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra gli uomini.

Quando pensiamo a questo comandamento la nostra attenzione si focalizza generalmente sul furto. Ma è importante non perdere di vista che “non rubare” include non solo la condanna di tutti gli attentati alla libertà e al rispetto dell’altro e della sua proprietà, ma anche la dimenticanza della destinazione universale dei beni.  Ironicamente affermava lo scrittore comico Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti.”

Secondo il catechismo molteplici sono le trasgressioni del settimo comandamento: il furto, la speculazione, la corruzione, la frode fiscale; le spese eccessive; lo sperpero; il danno volontario alle proprietà private o pubbliche; la non osservanza dei legittimi contratti; i giochi d’azzardo o le scommesse, ecc…

Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l’originaria donazione della terra all’insieme dell’umanità.

Per questo il catechismo afferma che i due peccati sociali che gridano vendetta al cospetto di Dio sono l’oppressione dei poveri e la frode del giusto salario agli operai. “Non rubare” fa quindi emergere molti nodi reali della nostra vita personale e sociale.

Ognuno ha il diritto di avere ciò che gli serve per vivere, ma ha anche la responsabilità nell’usare ciò che ha in modo “giusto” per non contraddire il volere di Dio che ogni uomo e ogni donna possa vivere dignitosamente.

Don Roberto

 



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