Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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IL QUINTO COMANDAMENTO: «Non uccidere»

Penso che nessuno possa mettere in discussione questo comandamento. Per questo in maniera categorica il catechismo della chiesa cattolica afferma: « La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente ».

Tuttavia questa consapevolezza spesso si appanna. Soprattutto nei casi limite, quando cioè la vita diventa indifesa, debole e perciò manipolabile. Pensiamo all’aborto, all’eutanasia o al suicidio.

Questi sono temi talmente complessi e delicati che non mi azzardo nemmeno ad entrare in merito, anche se sarebbe interessante farlo.

Mi soffermo invece a riflettere su come sia possibile trasgredire questo comandamento anche senza togliere letteralmente la vita di qualcuno. E mi riferisco in particolare alla violenza “omicida” di chi, diventando nemico del suo simile, giunge a mancare di rispetto per la dignità sacra della vita di ciascuno.

Quando Gesù, nel discorso della Montagna richiama il precetto “Non uccidere”, subito aggiunge che l’ira, la vendetta e l’odio, hanno la stessa radice dell’omicidio, ed inserisce proprio qui la domanda di amare i propri nemici e di porgere l’altra guancia.

Non uccidere dunque diventa per il Vangelo: costruisci la pace, promuovi la dignità di ogni persona evita la guerra in tutte le sue forme.

Uccidere è mancare all’amore. Non si uccide cioè solo nel corpo, spargendo sangue, ma anche moralmente. Si uccide con la maldicenza, quando con il disprezzo, la calunnia e l’odio, si infrange la stima di una persona.

Uccidere significa venir meno all’amore per il prossimo perché c’è una responsabilità “fraterna” nei confronti della vita del prossimo. Infatti quando Caino uccide Abele, Dio pronuncia queste parole: “Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”.

A volte capita di sentire espressioni lapidarie quando non si è disposti a perdonare un fratello: “Per me quella persona è come se fosse morta”. Anche questo è trasgredire il quinto comandamento.

Questo comandamento dunque ci esorta a ribadire con coraggio l’importanza di tutelare la vita, soprattutto quella debole ed indifesa e nello stesso tempo lottare con passione per estirpare dal nostro cuore il seme velenoso dell’odio, seme che contiene la violenza omicida.

Concluderei con questa stimolante ammonizione di Lacordaire: «Volete essere felici per un istante? Vendicatevi! Volete essere felici per sempre? Perdonate!».

Don Roberto

 



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