Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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IL SECONDO COMANDAMENTO: «Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio»

Chi bestemmia non ragiona. E chi ragiona non bestemmia. Il primo significato di questo comandamento è quello che tutti ben conosciamo: non bestemmiare il nome del Signore, cioè non imprecare, non dire cose indecenti di Dio. La bestemmia è sicuramente la principale trasgressione del secondo comandamento.

Per i credenti la bestemmia è un peccato. Mentre per coloro che non credono è un comportamento assurdo. Per tutti è senz’altro un segno di bassezza morale.

Anche se ho trovato un pensiero interessante di Enzo Bianchi che dice: Quanto alla bestemmia chiediamoci se chi bestemmia vuole davvero offendere Dio, se chi bestemmia non voglia offendere l’immagine che noi credenti abbiamo dato di Dio. Chiediamoci anche se chi bestemmia, in quella forma così paradossale, non finisca per fare un’invocazione o un grido di rabbia che può essere, agli occhi di Dio, una preghiera.

Il nome, soprattutto nella mentalità ebraica, rappresenta la realtà globale della persona. Offendere il nome è offendere la persona stessa di Dio. Dovremmo perciò continuamente chiederci cosa sta dietro tante bestemmie.

Acutamente afferma Martin Buber: Di nessuna parola si è mai abusato così tanto come del nome di Dio. Questa parola sarebbe stata così insozzata e stravolta da non essere più utilizzabile. Penso che non possiamo tuttavia evitare e ignorare questa parola, ma dobbiamo tentare di raccoglierla da terra con devozione e di ripulirla.

Ma il comandamento dice anche di non usare il nome di Dio per fini propri, dice il divieto di strumentalizzare il nome di Dio, di manipolarlo, di servircene per progetti di potere. L’uomo vuole Dio dalla sua parte. E storicamente le forme fondamentaliste della religione o della politica hanno fatto ricorso al nome di Dio per ragioni ideologiche. Si pensi alle guerre sante in tutte le sue forme, si pensi alla scritta “Gott mit uns” (Dio è con noi) incisa sulle armi della dittatura nazista.

Mentre si crede di rendere onore a Dio in realtà se ne abusa per i propri scopi.

Nominare il nome di Dio invano significa anche parlare di Lui come si farebbe di qualunque altra cosa per chiacchierare, parlare di Dio a vanvera, senza quell’atteggiamento di profondo rispetto, senza avere “il santo timore di Dio”, che non è paura, ma riverenza e amore filiale. Dio non può essere posseduto e il suo nome non può essere usato per fini umani.

In senso positivo questo comandamento ci esorta ad onorare il nome di Dio, a lodarlo come a Lui conviene. E questo per il cristiano avviene nella preghiera.

Il gesto del segno della croce che inizia e termina ogni nostra preghiera ci fa proprio pronunciare queste parole: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ma anche qui dovremmo chiederci come lo compiamo questo gesto? Per scaramanzia come allo stadio? Per abitudine? Per paura? Come un gesto magico? Oppure con fede e con amore segnando il nostro corpo, la nostra vita, con il Vangelo della croce, adorando Dio nostro Padre?

Don Roberto



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