Parrocchia e Oratorio San Giuseppe, Dalmine (BG)

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L’invidia

San Tommaso definisce l’invidia come il “sentimento di tristezza per il bene degli altri, percepito come male proprio perché si pensa possa sminuire la propria gloria o la propria eccellenza. L’invidia, conclude san Tommaso, è sempre una cosa malvagia, è un peccato mortale perché si oppone direttamente alla misericordia e alla carità”.

C’è una domanda che accende l’invidia come un fuoco: “Perché lui si e io no?”. Qualcuno ha definito l’invidia “la religione dei tristi”. Ed è anche il sentimento più inconfessato, come giustamente ha affermato Francois La Rochefoucauld: “Molti sono disposti a esibire i propri vizi, ma nessuno oserebbe vantarsi della propria invidia”. L’invidia resta segreta e triste. Ed anche dolorosa, perché è un vero e proprio auto avvelenamento dell’anima. Chi meglio di tutti ha cercato di rappresentare questo vizio capitale è sicuramente Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. La raffigura come una donna anziana dalle mani rapaci, avvolta dal tormento di un fuoco che ne brucia le vesti. Il fuoco indica il suo tormento interiore. Dalla sua bocca esce un serpente che gli si rivolta contro iniettandole negli occhi il veleno mortale. Le sue orecchie spropositate sono il segno della sua malvagia curiosità che la porta ad ascoltare maldicenze per nutrirsi di concorrenza e di  gelosia.

Il primo invidioso della storia è Lucifero, l’angelo che dopo essersi ribellato a Dio, volendo essere simile a Lui, è stato scaraventato negli inferi, ossia in una condizione di definitiva e incolmabile separazione da Dio. Lucifero, imprigionato in questa lontananza infernale, non tollera però coloro che sono in comunione con Dio, non sopporta il conversare sereno di Adamo ed Eva con Dio. Ne prova profonda invidia. E decide di rovinarli iniettando nel loro cuore quello stesso veleno dell’orgoglio. Le conseguenze sono drammatiche: è il primo peccato, quello “originale”, prototipo di ogni peccato.

L’invidia è molto prolifica, dice papa Gregorio, e ne traccia un elenco: la mormorazione, la detrazione, la distruzione dell’altro, il risentimento, la gioia per la loro rovina, l’odio per loro sino all’omicidio.

La via maestra per vincere l’invidia è l’amore. Come canta san Paolo nel suo famoso inno: La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Per vincere l’invidia che si annida nel cuore dobbiamo arrivare a desiderare il bene per gli altri, ad essere liberi dal rancore, dal tormento interiore, dall’insoddisfazione, liberi dall’influenza della cultura contemporanea che alimenta continuamente l’ambizione, l’avidità e la vuota curiosità. Contrastiamo dunque l’invidia con il dono quotidiano di noi stessi per i fratelli.

Don Roberto

 



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